Janis per Epì

Le notti passate a piangere nel buio della sua stanza in compagnia del cibo, l'unico amico che aveva

 

Janis Joplin non desiderava altro che essere accettata.

Già alle superiori, i compagni della Thomas Jefferson High School di Port Arthur, un’orrenda cittadina texana, la evitavano. Era un tipo particolare Janis, vestiva in modo strano, fumava, beveva e dipingeva.

Le notti passate a piangere nel buio della sua stanza in compagnia del cibo, l’unico amico che aveva, l’avevano fatta diventare la classica “cicciona” che i ragazzi prendevano in giro con epiteti come “porco”, “mostro” “nigger lovers”.

Il suo diciassettesimo compleanno fu una liberazione.  Appena diplomata scappò via da quell’orrenda cittadina e dai compagni che per anni l’avevano bullizzata, per iniziare con entusiasmo l’Università del Texas, ad Austin.

E al college si fece subito notare.

Camminava scalza, indossava i jeans a lezione, portava sempre con sé il suo autoharp (strumento simile ad un dulcimer, usato nella musica folk tradizionale) non indossava  mai il reggiseno, lasciando intravedere quei capezzoli che anni dopo avrebbero incantato il pubblico del Monterey Pop.

Nell’ottobre del 1962 le confraternite più note dell’università indissero due concorsi ispirati alla “bella e la bestia” per assegnare il titolo di “Miss Tette” e “Mister Mostro”, la ragazza con il seno più bello e il ragazzo più brutto del campus.

Ogni confraternita aveva il proprio concorrente: i ragazzi per farsi votare indossavano vestiti appariscenti e volgari, le ragazze ampie scollature a V.

I nomi dei finalisti sarebbero stati scritti su una lavagna enorme posta per l’occasione nel mezzo del campus.

E fu lì che Janis scoprì il suo nome.

Ma non fra le candidate a “Miss Tette”; tra i candidati a “Mister Mostro”, a gareggiare per il titolo di ragazzo più brutto dell’università.

Fu quella sera che Janis conobbe altri due nuovi amici, che le avrebbero fatto compagnia per tutta la vita: la droga e l’alcol, che nel giro di pochi anni metteranno a tacere per sempre la voce graffiante di un’artista ribelle che non chiedeva altro che essere accettata.