Il nostro modo di comunicare radicalmente cambiato dal "Big Bang" internettiano. L'immagine è tratta da un'opera street art di Banksy.
Dai pittogrammi rupestri dell’ominide preistorico del Neolitico agli emoji dell’Homo sapiens in-sapiens il passo è lungo oltre due milioni e mezzo di anni; la “grande trasformazione” generata dal Big Bang internettiano ha mutato, ancora una volta nella nostra lunghissima storia, non solo il linguaggio e il modo di comunicare ma anche i suoi tempi e i suoi luoghi, le forme del nostro pensiero e del nostro agire, le percezioni della realtà e della verità, la comprensione di sé stessi e di sé stessi in relazione agli altri; ha creato nuovi territori di conoscenza e abitudini della sua fruizione, ha ridefinito il nostro tempo libero con la nascita dei social e di tanti altri contenitori ludici e non, chiudendolo nel recinto di un monitor o nel display di un cellulare.
Solo i fedeli di Mani potrebbero, però, indicare nella nascita del Web la rovina o la salvezza della nostra specie, perlomeno di certo squarcio sociale che lì agisce e si rappresenta ma che esisteva prima del deflagrare di questa rivoluzione; il mezzo ha ri-formulato ed amplificato una sostanza collettiva che già rotolava in dirupi esistenziali claudicanti e malcerti in cultura e civiltà, spiazzati dall’indifferenziazione caotica di fini e segni, dall’assenza di avanguardie o liberazioni da compiere.
Cosa sarebbe potuto accadere ed è accaduto alla qualità del “villaggio globale” con una malsana e strumentalizzata esposizione ai media ce lo aveva suggerito Marshall McLuhan: “il medium è il messaggio”. Internet è, quindi, il messaggio investito e autolegittimato di verità che fagocita e cannibalizza il suo portato.
L’immanenza della rete nelle nostre vite è conseguenza dell’intreccio tra la peculiare natura del medium e quella dei suoi destinatari (non tutti, s’intende!) poco attrezzati a cogliere il suo potere pervasivo e invasivo, a districarsi nel mare infinito di notizie vere e false, di opinioni e luoghi comuni.
I dati sono eloquenti, soprattutto quelli riguardanti la piattaforma social più utilizzata al mondo e nel nostro Paese: 28 milioni di italiani utilizzano Facebook e ben 21 si connettono ogni giorno per almeno 40 minuti; il 30% dei like proviene da dispositivo mobile divenuto, ormai, sesto dito e quarto occhio.
E in questo cosmo farcito di girandole di ossequi e di mipiace di cortesia necessari ad attivare i circuiti della comunicazione, la parola diviene corpo con il suo linguaggio e le sue posture, spesso cifotica e fàtica, logorroica e greve. A volte un deserto di voci in corteo che si replicano, cloni transfughi muti dalla realtà, impalpabili pensieri che la home porta via nel tempo di un “aggiorna”.
Viviamo di pixel, in questa dimensione parallela che assumiamo come vera, tattile e prensile, che deforma il giorno e la notte, la nostra gioia e il nostro dolore.
Evaporiamo in una nuvola rossa, in una delle tante feritoie del Web?
Non tutti, per fortuna.