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La domanda è ineludibile: cosa vogliamo dai nostri beni culturali? Vogliamo soldi? Vogliamo che ci aiutino a riscoprire la nostra identità? Vogliamo che incrementino il turismo?

 Non c’è niente da fare: ignoranti quem portum petat, nullus suus ventus est (Seneca, Epistulae Morales Ad Lucilium, VIII, LXXI, 3). “Per chi non sa verso quale porto dirigersi, nessun vento è favorevole”. Vi prego di scusare il mio latinorum, ma quando ci vuole, ci vuole. Vivere nell’Italia di oggi appare sempre più come muoversi in un mondo surreale, abitato in prevalenza da folli, da persone scollate dalla realtà: un universo di bambini e bambine mai cresciuti, in cerca solo di compiacere se stessi. Il Patriarca di Costantinopoli S.S. Bartolomeo I definisce questa abitudine mentale “filautia”, cioè amore per se stessi, che conduce l’essere umano in una condizione di autismo, di incapacità a relazionarsi con il mondo circostante.

Applico queste riflessioni al nostro MIBACT (maledetti siano gli anglosassoni per l’utilizzo degli acronimi!), il “Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”, perché mi sembra oggettivamente fermo in mezzo al guado, incapace di muovere un passo in avanti, ma impossibilitato anche a tornare indietro. Qual è il ruolo che lo Stato assegna ai Beni Culturali e alla Cultura in generale? Siamo capaci di rispondere a questa domanda?

Facciamo un po’ di storia: per quanto riguarda i beni archeologici e quelli monumentali, siamo passati da un modello centralista di epoca fascista, con Soprintendenti/tiranni incapaci spesso di comprendere le istanze di novità e di valorizzazione, chiusi a riccio nella difesa di opere e monumenti, come se fossero di loro personale proprietà. Chi, come me, ha dovuto vivere parte della propria vita professionale con questa gente (spesso assunta non per propri meriti, ma in seguito alla legge 285, famigerata!) si è trovata spesso a combattere per ottenere sacrosanti permessi di studio, mentre le soprintendenze li elargivano solo ad alcune (determinate) università e a singoli ricercatori (soprattutto stranieri), come se facessero parte della medesima Ditta (contro la legge, ovviamente, ma tanto erano signori e padroni …). Ovviamente, c’erano, in questa accozzaglia di burocrati mediocri, punte di eccellenza e persone meravigliose, come sempre capita … Ora, invece, ci troviamo di fronte a un modello misto, in cui due parti del medesimo Ministero sembrano combattersi senza posa: la vecchia burocrazia lotta contro un nuovo modello più dinamico.

Da che parte dobbiamo schierarci? Io personalmente, che recito preghiere di esorcismo ogniqualvolta mi imbatto al Museo in qualche vecchia cariatide che non vuole accettare la pensione, e farsi semplicemente da parte, apprezzo l’impulso di novità, ma gradirei dal pachiderma ministeriale uno straccio di programma, una linea d’azione chiara: un porto verso cui dirigerci!

La domanda è ineludibile: cosa vogliamo dai nostri beni culturali? Vogliamo soldi? Vogliamo che ci aiutino a riscoprire la nostra identità? Vogliamo che incrementino il turismo? Vogliamo che portino lavoro? Forse vogliamo tutto questo, e altro ancora, ma dobbiamo deciderlo, anche se, temo, non saremo in grado di farlo. Due esempi freschi freschi. A Enna hanno appena ritrovato testimonianze preelleniche in un cantiere e hanno fermato i lavori a una Ditta, che ha iniziato a protestare: valgono di più le vecchie pietre o il lavoro (testuale)? Apprendo anche che sarebbero in arrivo non so quante centinaia di milioni per i Beni Culturali del Sud, ma non gioite: sapranno soltanto spenderli in (peraltro sacrosanti) restauri, senza utilizzarli per ricerca e valorizzazione/divulgazione. Non vorrei che si trasformassero nel solito fiume di denaro verso imprese edili e amici degli amici: i Beni culturali come una eterna Salerno - Reggio Calabria, che inghiotte fiumi di denaro pubblico!

Cosa voglia lo Stato io non lo so, ma so bene quello che vorrei io: nei miei sogni, i Beni Culturali sarebbero accessibili a tutti, e non fonte di ricchezza per i soliti furbetti; farei entrare gratis al Museo tutti indiscriminatamente (quanti Regini non hanno ancora visto i Bronzi?); farei “parlare” ogni singolo reperto, per farci capire come vivere il nostro presente e come apprezzare la Bellezza che i nostri antenati ci hanno lasciato in eredità, e che noi troppo spesso chiamiamo “quattro pietre” … Vorrei che, grazie anche a loro, pur nascendo tutti rhiggitani, potessimo morire Reggini!