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Il ventennio fascista e il suo tragico epilogo sono certamente tra le pagine di Storia più drammatiche e complesse del nostro Paese

“Ray Moseley è stato corrispondente europeo per il «Chicago Tribune» da Roma, Mosca, Londra, Nairobi, Berlino, Belgrado, Il Cairo e Bruxelles. Nel 1981 ha ottenuto il secondo posto al premio Pulitzer per corrispondenti esteri. Attualmente vive in Inghilterra, e in Italia ha pubblicato presso Mondadori l’acclamato Ciano, l’ombra di Mussolini (2000).

Il 25 luglio 1943, l’arresto di Mussolini, al termine di un incontro con il Re e poche ore dopo la conclusione di una storica seduta del Gran Consiglio, sancì ufficialmente la fine del Regime. 
Il 28 aprile 1945, la sua fucilazione chiuse per sempre la parabola tragica del fascismo e del suo fondatore. 

Moseley racconta il drammatico epilogo del Ventennio seguendo Mussolini nel periodo disperato e febbrile di Salò: i 600 drammatici giorni in cui il Duce che «ha sempre ragione» cercò di sopravvivere insieme alla sua piccola Repubblica, fino all’inutile fuga, in una gelida primavera, lungo le sponde del lago di Como. Attraverso un sapiente intreccio di documenti e testimonianze (alcune fino a oggi sorprendentemente trascurate) e una narrazione rigorosa e appassionante, l’autore ci descrive Mussolini giorno dopo giorno, mentre affonda lentamente nell’impotenza, nella rabbia, nella vergogna e nella depressione, ci rivela alcuni aspetti inediti del suo carattere e della sua vita privata, ci guida alla scoperta della vera identità del suo carnefice e infine ricostruisce la storia (e la sorte) del suo famoso «tesoro»”.

Queste note di copertina che la casa editrice Lindau ha redatto per confezionare, con scarsa accuratezza sia redazionale che grafica che tipografica, questo comunque interessante volume, sono l’equivalente del bugiardino inserito nelle scatole dei farmaci…

Moseley pare sia un importante giornalista, è stato infatti corrispondente estero di una grande testata ed è arrivato alle soglie del Pulitzer; una volta in pensione si è dedicato all’approfondimento della Storia e alla produzione di saggi. È evidente che dal 25 luglio del 1943 (Notte del Gran Consiglio e arresto di Mussolini) al 12 giugno del 1946 (Vittoria della Repubblica al Referendum ed esilio del Re) si sia prodotta in Italia molta più Storia di quanto non ne sia stata narrata, ma questo dovrebbe però indurre ancora di più alla cautela gli “apprendisti storici” della cui categoria il nostro fa parte.

La vicenda umana e politica dell’ultimo Mussolini avrebbe tutti i numeri per diventare un avvincente romanzo e il copioso materiale riversato in queste seicento pagine lo dimostra chiaramente; ma il lavoro di Moseley, bulimico e confusionario, finisce con il produrre l’effetto contrario lasciando il lettore frastornato e pieno di dubbi.  

La parte più interessante del volume è costituita dalla quarantina di pagine di “Apparati” con l’indispensabile cronologia e l’accurata bibliografia che, unitamente alle ricche note finali di ognuno dei trenta capitoli, aiutano il lettore a districarsi nel ginepraio tessuto da Moseley; a sua parziale giustificazione bisogna considerare che la natura degli eventi trattati dal libro mal si presta a ricostruzioni chiare e oggettive. Pur condividendo l’unanime disprezzo per le scelte di campo di Mussolini, invito a riflettere su quali sarebbero state le immediate conseguenze per la nostra nazione nel caso avesse deciso di rompere l’alleanza con i tedeschi e consegnarsi armi e bagagli agli alleati. D’altra parte, già al momento della fuga del Re e di Badoglio, il ministro per la Propaganda del Fuhrer, Joseph Goebbels, aveva annotato nel suo diario: “Il vigliacco tradimento al suo capo è il preludio di un tradimento contro il suo alleato. Il Duce entrerà nella storia come l’ultimo Romano, ma dietro la sua figura un popolo di zingari terminerà di imputridire”.

I tedeschi in ritirata avrebbero raso al suolo le nostre città con le infrastrutture e le fabbriche, mentre gli alleati e il CLN non avrebbero avuto alcuna possibilità di trattare, come avvenne, la salvaguardia di Roma e del patrimonio artistico, architettonico e industriale della nazione intera. La lotta partigiana stessa, probabilmente, non avrebbe avuto modo di sviluppare quella trionfale fase logistica che fu, invece, favorita dall’exit strategy dei tedeschi dal nostro territorio. L’Italia anche in quell’occasione pagò tragicamente le conseguenze del suo ruolo geopolitico di scacchiere internazionale, ma nessuno potrà mai dire con esattezza quali scelte alternative si sarebbero potute rivelare azzeccate. Mai come in questo caso la letteratura dimostra la sua superiore capacità di narrare una fase storica; nessuno meglio di Italo Calvino nel suo magnifico “Il sentiero dei nidi di ragno” ha saputo descrivere il dramma della guerra civile e i suoi umani risvolti nella vita quotidiana della popolazione. Per riconoscere gli eccessi di crudeltà di alcune bande di partigiani, culminate nell’epilogo vergognoso dello scempio di Piazzale Loreto (lo stesso Sandro Pertini ebbe a dichiarare: “L’insurrezione si è disonorata”), non era necessario aspettare i rigurgiti infami, proditori e livorosi di Giampaolo Pansa, sarebbe stato sufficiente contestualizzare la narrazione con i criteri applicabili a ogni tipo di lotta fratricida che, dalla Bibbia in giù, assume un valore paradigmatico, immersa com’è in un quadro di belluina e cieca furia.

Il libro ha tuttavia il merito di riportare alla luce, sia pur in modo frammentario e confuso, personaggi che la Storia, diretta con mano sapiente dal pensiero forte dei vincitori, ha ingiustamente relegato dietro le quinte. A parte Galeazzo Ciano del quale ancora non si è riusciti a stabilire la cifra morale, ma la cui complessa vicenda assume tratti leggendari, troviamo tra le pagine molti altri personaggi romanzeschi quali il generale Kurt Student, inviato speciale di Hitler per le mission impossible tra le quali la liberazione del Duce; Giovanni Preziosi, spretato maneggione, accanito pamphlettista, fanatico antisemita; Theodor Morell, medico personale di Hitler che imbottiva di droghe il fuhrer; Georg Zachariae, corrispondente in Italia di Morell del quale comunque non condivideva, per fortuna del Duce, le idee strampalate; Raffaele Guariglia, ministro degli esteri italiano, una delle poche persone competenti del governo Badoglio; Hubert Lanz, generale tedesco responsabile del massacro di Cefalonia, una delle peggiori atrocità commesse dai tedeschi durante la guerra; Eugen Dollmann, colonnello delle SS di stanza a Roma dai toni affabili e raffinati, fu protagonista dei negoziati per la resa agli alleati; Rodolfo Graziani, ministro delle Forze Armate della Repubblica di Salò che si considerava “più soldato che fascista”, fu graziato da Cadorna e scampò al plotone d’esecuzione dei partigiani; Alessandro Pavolini, segretario del partito Fascista, giornalista colto e poeta molto dotato, inviso ai fascisti duri e puri che lo consideravano “una zitella squilibrata”; Max Salvadori, ufficiale delle Forze Speciali inglesi che aveva teorizzato la cosiddetta “diserzione del Fattore C”, vale a dire: Corona, Capitale e Clero che prima avevano sostenuto il Fascismo ma al momento cruciale lo avevano mollato; Helmut Scholl, comandante delle SS di stanza a Napoli, che amava ripetere che per lui un soldato tedesco valeva tutta Napoli assieme, ma ebbe un bel da fare nel tenere a bada lo spirito creativo e naturalmente ribelle dei partenopei. Sfogò il suo senso d’impotente inferiorità distruggendo col fuoco la preziosa biblioteca dell’Università e l’insostituibile Archivio Storico di Napoli, mandando in fumo più di 50mila pergamene e 30mila volumi di documenti e resoconti preziosi sulla primissima storia della città, dell’Italia e dell’Europa intera; Rudolph von Rahn, ambasciatore tedesco a Salò, che scrisse in un rapporto: “Io considero mio compito spremere il limone neofascista, e quindi italiano, più che sia possibile, e quel che m’importa è solo il mezzo per riuscirvi”, salvo poi lamentarsi con Hitler della condotta tirannica dei militari tedeschi nei confronti del nuovo governo repubblichino; Gaetano Pellegrini-Giampietro, ministro delle Finanze di Salò, che riuscì a persuadere i tedeschi a non usare il marco tedesco d’occupazione e tornare alla lira italiana, ad impedire il trasferimento della Zecca italiana a Vienna e a recuperare parte dell’oro rubato dai tedeschi alla Banca d’Italia;  Augusto Liverani, ministro delle Comunicazioni di Salò, che riuscì a salvare il patrimonio ferroviario italiano, ingannando i tedeschi circa la sua reale consistenza;  Ernst von Weizsäcker, ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, che molto più di Pio XII e dello stesso Ugo Foà, capo della Comunità ebraica, si prodigò per salvare quanto più ebrei possibile dal terribile pogrom del 16 ottobre del 1943; Marcello Petacci, fratello di Claretta, eclettico truffatore di professione dalla caratura internazionale, amante della bella vita con regolare contorno di auto di lusso (la sua preferita era un’Alfa Romeo gialla) e belle donne. Fu fucilato dai partigiani assieme ad alcuni gerarchi fascisti i quali urlarono indignati di non voler essere giustiziati a fianco di un traditore; Vittorio Mussolini, il peggiore tra i figli del Duce, unanimemente considerato “estremista maleducato, presuntuoso, arrogante, rozzo e incapace di decifrare la realtà del momento”; Hildegard Burkhardt Beetz, giovane e avvenente agente delle SS incaricata di far visita a Ciano in prigione per farsi rivelare il luogo dove nascondeva il diario. Galeazzo Ciano, noto donnaiolo, l’aveva già conquistata in precedenti incontri ed utilizzò la circostanza per derivarne vantaggi per se stesso e per la moglie Edda; Emilio Pucci, giovane aviatore ex amante di Edda che aiutò lei e i suoi tre figli a riparare in Svizzera. Pucci, sopravvissuto stoicamente alle torture e alle sevizie dei nazisti rifiutandosi di parlare, dopo la guerra sarebbe diventato uno stilista di fama mondiale; Iris Origo, anglo-americana sposata a un marchese italiano, autrice di un diario che testimonia la “brutalità inaudita” delle SS in occasione delle spedizioni punitive nelle case della gente ritenuta complice dei partigiani; Giuseppe Jona, presidente della comunità ebraica di Venezia, si prese una notte di tempo per consegnare ai nazisti l’elenco dei duemila ebrei della città e invece la utilizzò per avvertirli del pericolo, l’indomani distrusse la lista e si suicidò; Piero Pisenti, onesto ministro della Giustizia di Salò, che convinse Mussolini a dichiarare fuorilegge la “Banda Koch”, uno “squadrone della morte” capeggiato dal famigerato delinquente cocainomane Pietro Koch, perverso e dissoluto, che alternava le crudeli spedizioni punitive alle feste orgiastiche organizzate a Roma dalla sua amante sedicenne fiorentina Tamara; Mario Carità, capo della polizia segreta fascista a Firenze, sadico pervertito che torturava i prigionieri in presenza delle sue due figlie, le quali partecipavano ai pestaggi e poi si concedevano agli aguzzini al servizio del padre; Carlo Alberto Biggini, ministro dell’Istruzione di Salò, uomo rispettabile che ebbe un ruolo significativo nel nascondere tesori d’arte italiani ai tedeschi e protesse professori e studenti antifascisti; Walter Reder, nella lunga e tragica lista delle atrocità compiute da parte tedesca, nessuno eguagliò il suo record di crudeltà e barbarie. Come molti dei nazisti più fanatici, Reder era austriaco, portava una mano artificiale coperta da un guanto nero ed era alcolizzato. Gli uomini di Reder furono responsabili, tra l’altro, degli eccidi di Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema; Luigi Parrilli, nobiluomo d’affari, operante al nord ma di origini napoletane, amante del bel mondo, fu il catalizzatore che portò gli agenti segreti americani e gli ufficiali delle SS, alle spalle di Hitler e Mussolini, a forgiare insieme la resa sul fronte italiano e salvare le infrastrutture industriali e pubbliche dell’Italia settentrionale dalla distruzione arbitraria; il conte Pierluigi Bellini delle Stelle, membro di una nobile famiglia fiorentina, che comandava la 52ª Brigata Garibaldi e usava il nome partigiano di Pedro, fu protagonista di alcuni tra i più significativi episodi della Resistenza; Urbano Lazzaro, nome di battaglia Bill, autore dell’arresto di Mussolini in fuga su un convoglio tedesco; Luigi Canali, nome partigiano Capitano Neri, che acconsentì alla richiesta di Claretta Petacci di rimanere a fianco del Duce fino alla fine; Giuseppina Tuissi, nome partigiano Gianna, amante di Canali, che era stata imprigionata e torturata sadicamente dai fascisti, che scorta Mussolini nell’ultimo viaggio. La Tuissi e Canali furono assassinati negli sviluppi della vicenda riguardante la scomparsa de “L’oro di Dongo”; Michele Moretti, comunista, nome partigiano Pietro, che scorta Claretta e contribuisce all’uccisione sua e del Duce; Giacomo e Lia De Maria che ospitarono, per conto dei partigiani, Mussolini e la Petacci nella loro camera da letto per l’ultima notte della loro vita; Walter Audisio, comunista, nome partigiano Comandante Valerio, ebbe l’incarico da Luigi Longo di eseguire la condanna a morte di Mussolini. Il giudizio sulla sua figura è piuttosto controverso poiché cambiò più volte versione su chi gli avesse impartito l’ordine (si parlò anche di Cadorna) e si rivelò reticente sulla verità circa l’affaire de “L’oro di Dongo”; Domenico Leccisi, nostalgico fascista, nel primissimo dopoguerra creò il foglio clandestino “Lotta Fascista” e riuscì a trafugare il corpo del Duce dal luogo segreto dove era stato sepolto.

Il ventennio fascista e il suo tragico epilogo sono certamente tra le pagine di Storia più drammatiche e complesse del nostro Paese eppure, incredibilmente, non sono ancora oggetto di studio nei programmi dei nostri Licei. I libri di Storia che in qualche modo hanno cercato di gettare luce sono tantissimi, ma manca ancora un lavoro, basato esclusivamente su documenti, che ponga la parola fine alle innumerevoli illazioni e ricostruzioni fantasiose. Benito Mussolini è stato l’indiscusso protagonista di quel periodo ed ha pagato pesantemente il suo conto con la Storia. L’Italia, invece, ha evitato la sua “Norimberga” e forse per questo i suoi conti ancora non li ha chiusi.

A proposito di documenti lascio alla riflessione dei miei lettori due citazioni mussoliniane, una riguardante gli americani, l’altra gli italiani.

“L’America è un paese senza ideali, un paese in cui il denaro, la potenza del denaro, l’avidità del denaro, sostituiscono tutto ciò che da noi ha ancora un valore culturale e morale. Gli americani non capiscono che le comodità materiali non possono sostituire il vuoto spirituale di un popolo il cui solo dio è il dollaro”.

“Ho sopravvalutato l’intelligenza delle masse. Nei dialoghi che tante volte ho avuto con le moltitudini, avevo la convinzione che le grida che seguivano le mie domande fossero segno di coscienza, di comprensione, di evoluzione. Invece, era isterismo collettivo. Ma il colmo è che i nostri nemici hanno ottenuto che i proletari, i poveri, i bisognosi di tutto, si schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocrati, degli affamatori, del grande capitalismo. Questa crisi, cominciata nel 1939, non è stata superata dal popolo italiano. Risorgerà, ma la convalescenza sarà lunga e triste e guai alle ricadute. Io sono come il grande clinico che non ha saputo fare la cura… e che non ha più la fiducia dei familiari dell’importante degente”. (Da un’intervista a Gian Gaetano Cabella direttore de “Il Popolo di Alessandria”, 21 aprile 1945).


Ray Moseley, Mussolini. I giorni di Salò, Lindau, Torino 2006, pagg. 610, € 29,00