Aki è uno scrittore di talento che ha avuto la fortuna di non pubblicare mai un libro, scegliendo così il cinema. E perché lo sceglie?
Due finlandesi sono seduti al bancone di un bar. Dopo tre ore di silenzio uno dei due alza il suo boccale di birra e dice: “salute!”
L’altro uomo lo fulmina con lo sguardo: “non sono venuto qui per fare conversazione!”
E’ famosa la battuta di Aki Kaurismaki sul perché ha scelto di fare il regista: <<Per stare lontano dai Whisky bar della Finlandia, la nazione più felice e più ricca del mondo. Ma è davvero così?>>
Kaurismaki è finlandese e nessuno come lui porta cinematograficamente con sé l’anima di quella nazione, la sensazione di una “suspense mentale” e di vita che caratterizza la vita in quel paese, una terra in una posizione geograficamente molto difficile, soprattutto durante la seconda guerra mondiale, costringendo i finlandesi a combattere tre guerre diverse in sei anni.
Una “suspence mentale” che caratterizza gli attori dei suoi film, ai quali non è chiesto di recitare, ma, come racconta Kati Outinen, la sua attrice di sempre: <<Recitare per Kaurismaki è una sfida molto eccitante. Di solito recitare significa caricare di sentimenti i personaggi; al contrario nei suoi film devo rinunciare alla recitazione. Ha in mente la filosofia Zen? Ecco, allo stesso modo devo lasciare il personaggio attraverso la mia persona e rimanerne impregnata a sufficienza perché qualcosa giunga fino alla cinepresa. A volte funziona>>
… Un giorno un’immensa folla di persone si radunò per ascoltare gli insegnamenti di Shakyamuni, il Buddha. Il Buddha non disse una parola tenne semplicemente in mano un fiore, solo il discepolo Kasyapa comprese l’essenza di questo gesto. Avvenne così la prima trasmissione di un insegnamento senza parole, da maestro a maestro da mente a mente.
Siamo forse anche dalle parti della Supermarionetta di Gordon Craig: il corpo è solo un contenitore della mente.
Kaurismaki dirige gli attori con pochissime indicazioni, perché non chiede una interpretazione del personaggio ma una sua rappresentazione. <<E’ più importante il modo come ti sistema dentro l’inquadratura>> dice l’attore André Wilms (Miracolo a Le Havre, 2011)
<<Non sarà inutile notare come, ad essere coerenti, solo il mezzo cinematografico possa integralmente tradurre l’espressività della figura umana nella rappresentazione, nella dimostrazione dell’Übermarionette (che non è semplicemente Marionette perché ad essa ineriscono tutti i segni propri dell'espressione corporea). E ciò non soltanto perché il cinema fissa immutabilmente, su di un mezzo di riproduzione meccanico, l’espressione selezionata dell'attore, i tempi e i modi della "maschera mobile", ma anche perché esso permette di formalizzare il processo secondo cui la figura umana si mostra come risultato, come pre-vista>>( Edward Gordon Craig, Il mio teatro. Introduzione e cura di Ferruccio Marotti-Feltrinelli, Milano, 1971)
La Finlandia è una nazione indipendente dal 1918, con 5 milioni di abitanti ed è considerata la più ricca e pacifica mondo, con un territorio che la classifica all’ottavo posto per estensione.
I registi sono meno di 20, alcuni hanno avuto anche un successo hollywoodiano.
A fronte di 20 registi la Finlandia conta soprattutto 4 quattro piloti di formula 1 di cui tre campioni del mondo: sicuramente si allenano sulle piste innevate anche d’estate.
Adesso viene presa come riferimento per il suo sistema scolastico con quasi il 45% dei laureati, mentre l’Italia è ferma al 22%, L’Europa punta al 40% nel 2020. Si vedrà.
Già l’esordio cinematografico di Aki caratterizza le sue scelte artistiche con un insieme di “alcuni elementi semplici: ascetismo, BMovie, Dostoevskij e un susseguirsi di avvenimenti in non precisate città”. Scelte che lo avevano fatto bocciare alla Scuola finlandese di cinema perché considerato “troppo cinico” e poco sentimentale (“mi dicono che sono cinico: chiedetelo al mio cane. Come si può dire che non sono sentimentale: da piccolo sono andato nella foresta a seppellire un fiammifero spento”)
Aki è uno scrittore di talento che ha avuto la fortuna di non pubblicare mai un libro, scegliendo così il cinema. E perché lo sceglie? “Forse perché non sono capace di fare nessun lavoro onesto. Camminavo ogni giorno per le vie di Helsinki cercando di rimediare i soldi per bere, ma era sempre più difficile trovarne. Allora ci siamo detti: cominciamo a fare film. Uno ha chiesto: su cosa? Io ho risposto: su questo schifo che è la nostra vita”.
La formazione cinematografica di Aki si svolge, tra un lavoro precario e l’altro, vedendo film e scrivendo critiche per un giornale studentesco. Ma le sue visioni critiche erano troppo drastiche, o capolavori o bufale, e per questo ha smesso di “criticare”. Abbandona l’università e trova un lavoro di postino ad Helsinki, con “l’indubbio vantaggio di essere libero dalle 11.00 in poi” per vedere tra televisione, cinema commerciali e cineteca dai tre ai sei film al giorno, programmando le visioni in modo scientifico. Finché un giorno realizza il suo primo film: La sindrome del lago Saimaa sul rock’n roll finlandese degli anni ’80: <<Abbiamo fatto delle domande idiote a dei musicisti, e abbiamo ricevuto delle risposte intelligenti. Come per esempio “sì”, “no”, “è vero”.>>
Non ci vuole molto a capire che Aki è un personaggio insolito, un “extraterrestre con un cuore”, un regista che dice di amare Chaplin e Godard ma teme di non capire perché: <<Capisci ciò che voglio dire… Se non capisci non è grave, perché nemmeno io mi capisco>>.
In effetti parla senza intonazione, come i suoi personaggi e le parole nei suoi film sono molto scarse. Sta a chi ascolta decifrare quando si tratta di una battuta o di una cosa sera. Il record del “film muto” appartiene a La fiammiferaia (1989): nei primi 25 minuti si sente solo il rumore dell macchine, tanto da farlo sembrare un documentario sulla produzione dei fiammiferi, ma il pp di Iris (Kati Outinen) rappresenta già la dimensione di una condizione emarginata.
I film di Kaurismaki si formano sulla scia di una condizione esistenziale tragica ed ironica allo stesso tempo, fatta anche di inquietudini, solitudine e silenzio, vissuti in modo creativo anche grazie a tre pacchetti di sigarette al giorno e tante bevute.
<<All’improvviso, la settimana scorsa, mi sono trovato a correre inutilmente per la città, a straparlare facendo smorfie e agitando le braccia nella maniera più ridicola possibile. Il giorno dopo l’ho passato sdraiato sotto il letto a odiare me stesso con violenza. Per vendicarmi ho deciso che avrei girato un film che al confronto quelli di Bresson sono dei romanzi epici.
Più tardi ho dato a questo filmetto il nome di Tulitikkutehtaan tyttӧ (La fiammiferaia) perché è un titolo abbastanza lungo per poter essere facilmente dimenticato>>
“Ancora non ho capito se devo ridere o piangere”
L’altro volto della speranza-Toivon tuolla puolen, 2017