Anche solo per curiosità, almeno una volta, quasi tutti transitarono dalla sala “proibita"
C’era questo cinema reggino che era una rappresentazione scenica dei peccati, quelli proibiti dal parroco la domenica. Era la conferma che la libertà esiste, anche se è solo quella di masturbarsi e di fare pensieri osceni. Si può fare tutto, si pensava alla fine degli anni 70.
Giorni di trionfo, quelli del Siracusa. Un cartellone dietro l’altro. I cartelloni più guardati della storia della cartellonistica mondiale. Titoli alla riscossa, in un crescendo di creatività pecoreccia. Dalla serie di Emanuelle, che inibì questo nome alle italiane per un quarto di secolo, al Gola Profonda con tanto di racconti mitico-metropolitani che si fecero attorno (la Lovelace si è beccata il cancro alla gola per quanti ne ha fatti, non c’era trucco era tutto in presa diretta, nelle pause si allenava con cameramen ed elettricisti), al primo vero film Porno italiano, a cura naturalmente di Riccardo Schicchi e con naturalmente la non ancora onorevole Ilona Staller: “Telefono Rosso” del 1978 che transitò, anche se con un po’ di ritardo, dal glorioso Siracusa. Per tutti gli anni ’80 ci fu sempre il pienone al Siracusa.
Quel cinema rappresentò lo sdoganamento reggino versò la modernità. La pornografia svolse una funzione sociale e culturale, mai riconosciuta e mai considerata, di grande importanza nel costume locale. Rese accettabile l’idea tutta laica della libertà sessuale, anche se la mercificazione dei corpi non ha mai avuto tale velleità. I film porno, i primi film porno, ebbero un effetto shock sulla gioventù dell’epoca, abituata alle spiate del buco della serratura delle varie Fenech, Guida, Senatore.
Poi però cominciarono le cassette porno, e poi i cd, e i dvd, ed il fatto che, vuoi mettere, una bella zozzeria è sempre meglio guardarsela da solo o al limite con esclusiva compagnia piuttosto che in stile camerata con la concentrazione di quanto c’è di peggio nell’animale maschile. E il cinema andò in crisi.
Si tentò di rilanciarlo come teatro, ma niente incassi, niente arte. Cioè in qualche modo ci furono alcune stagioni di rappresentazioni, sempre assistite con l’ossigeno dalla politica, che si sa ha l’obbligo di tenere in piedi la cultura, almeno quella che gli è amica. Però il bilancio segnò il rosso. Evidentemente il teatro interessa meno delle prodezze erotiche.
Quelli del porno invece furono tempi di vacche grasse! Tutto esaurito agli spettacoli delle 22,30! Padri di famiglia e scolari, ragazzoni e vecchietti, vedovi e divorziati, sposati e fidanzati, negli ultimi tempi persino qualche sporadica ragazza. Quelli si che erano incassi! Va bene, molti entravano di straforo, s’imbucavano tra la folla festante, ma erano perdite da nulla. Persino quando diluviava al Siracusa, all’ultimo spettacolo, c’erano sempre una cinquantina di persone. L’animalesca pulsione sessuale quando diventa collettiva trasmuta in altro, in un gorgoglio becero di desiderio, di esaltazione virile, di troglodita voglia di tirare fuori il randello e darsi da fare in qualche modo, anche con i buchi nei muri.
O se ne ride, o è inutile parlarne, anche se la situazione non riguardava solo quelli attorno ai vent’anni con gli scompensi ormonali canonici rafforzati dal testosterone dell’appartenenza al genere maschile. Riguardava quasi tutti i maschi in età riproduttiva della città.
Anche solo per curiosità, almeno una volta, quasi tutti transitarono dalla sala “proibita”. In effetti il porno fu una democratizzazione dello spettacolo sessuale, fino ad allora appannaggio esclusivo degli abbienti, quelli che potevano mantenersi un video proiettore e che raccattavano le pellicole zozze facendosele spedire dalla Svizzera, dall’Inghilterra, dall’Olanda e dalla Svezia, nazioni all’avanguardia.
Noi italiani ci trastullavamo con le dolcezze appena intraviste delle donne- provolone della commedia zoticona tutta nostrana, quella a base di tette, scorregge, spiate dai buchi della serratura, docce e umorismo da quarta elementare. Oggi molti di quei protagonisti vengono riveriti e chiamati maestri, Lino Banfi tra tutti.
Il salto di qualità, ed anche d’incassi, il Siracusa lo realizzò con l’avvento del porno vero e proprio. Nei manifesti l’indice d’intensità hard veniva siglato dal numero delle “X”. Tre “X” era la media, fino ad arrivare alle cinque “X” ed una “Q” del primo film bollente dove Moana e Cicciolina, le due superstar, si cimentavano in una competizione indimenticabile.
Transitarono film da primo premio Oscar del Porno. La popolarità del cinema crebbe a dismisura. La vergogna veniva superata con le crasse risate dei giovinastri, identiche a quelle dei loro coetanei di trent’anni prima, quando affollavano i postriboli delle case chiuse. Tra i baveri dei cappotti alzati, i cappelli sugli occhi e altri accorgimenti per non farsi riconoscere, anche i più repressi e riottosi alla fine affrontarono il passaggio dal cinema porno. I lestofanti quando individuavano qualcuno particolarmente timido ne urlavano poi il nome a film cominciato, nel buio della sala fumosa. E quello giù, a sprofondare di vergogna nello scomodo sedile di legno.
Fu una vera epopea. Altri cinema si adeguarono all’andazzo. Poi, con l’avvento di Internet, la fine ultima. Il grande spettacolo dei corpi intrecciati proiettati su uno schermo cinematografico terminò. La crisi del porno, la crisi del cinema, la crisi in generale, ed ecco che la sala che custodisce tanti ricordi adolescenziali si trasforma, diventa un negozio di abiti, un invito a vestirsi mentre prima, a lungo, era stata solo un invito a spogliarsi.
Il mondo cambia, tutto si trasforma.