Un pane di età ellenica, ricco di sapore e dalla consistenza croccante e di semplice preparazione.
È che quando pensi alla Calabria e alla sua storia in cucina, pensi al "satizzu", alle frittole, alla 'nduja e ai “maccarruni” (attenzione, maccheroni, non macarons) col sugo, ovviamente, tutto rigorosamente di maiale, che qui del maiale non si butta via proprio niente, e ti dimentichi tra fast food, friggitorie e ristoranti che si vogliono elevare a livelli da gourmet e che spuntano come funghi, che il vero food porn fa più rima con tradizione che con destrutturazione.
E, pur non disdegnando, da vera gourmand, un piatto più o meno minimal di crudo o la ricettina di uno chef stellato, non posso che amare, quando li incontro, i sapori veri, forti, quelli che rievocano storie o che hanno fatto la nostra storia. Per me, uno di questi incontri è avvenuto qualche anno fa in un angolino dell'area grecanica chiamato Bova ed è quel giorno che io e la "lestopitta" ci siamo incontrate. Di pitte ne avevo fino ad allora mangiate parecchie, di pitte "leste" ancora no.
Non provate a chiederlo in giro il significato del nome, che potrebbero fornirvi ricostruzioni etimologiche tali da far rivoltare Rohlfs nella tomba e raccontarvi che la pitta è lesta perché è veloce (in quanto azzima non richiede infatti tempi di lievitazione), ma basta farsi cinque anni di liceo classico per avere in testa tutte le risposte, oltre a poter fare gli sbruffoncelli leggendo ad alta voce il nome di tutte le vie della cittadina di Bova, che l'amministrazione comunale ha voluto fornirci in alfabeto ellenico.
Quindi, dizionari alla mano: λεπτος è sottile e πίτα è il nome che indica il pane piatto e tondo e intuiamo già di che si tratta.
Questo paninello un po' piadina, un poco pita ebraica, accompagnava e accompagna, se volete, piatti e intingoli, ma qui, ai giorni nostri, a Bova Superiore, da Mimmo, che di questo pane ha fatto quasi un marchio, la lestopitta ha racchiuso (letteralmente) in sé anni di invenzioni gastronomiche e tradizioni conserviere calabre: dal capocollo alla 'nduja, dal pecorino alla melanzana, agli infiniti sottoli. Ecco, non esattamente un piatto light, piuttosto quello che ti mangeresti per fame chimica o dopo qualche cena dalle porzioni "gourmet".
E, pur rappresentando, nella sua semplicità, un pezzo così sostanzioso e così antico della nostra cultura gastronomica, a differenza della sua cugina nordica: la piadina romagnola, non può ancora fregiarsi di essere patrimonio dell'Umanità UNESCO. La candidatura del saporito pane bovese resta in attesa, forse perché nessun genio del marketing ha ancora pensato di metterla al centro di una promettente start-up o per la salutistica avversione per il cibo fritto, sì, perché la nostra lestopitta, come la maggior parte delle cose buone, è fritta.
Per gustare il sapore ricco e la consistenza croccante di questo pane di età ellenica, potreste organizzare una passeggiata nella bella Bova e fermarvi nella verandina antistante il piccolo locale di Mimmo, offrendovi una vera food experience completa di storia, panorami e profumi, ma se il paesello grecanico non è esattamente a due passi da casa vostra, potreste avere un preludio gustativo operando qualche abile gesto che avrete sicuramente appreso nel tentativo di fare in casa la pizza.
Dovrete quindi disporre a fontana mezzo chilo circa di farina di semola di grano duro e unirvi un pizzico di sale e acqua sufficiente ad ottenere un impasto legato, ma ben sodo, poco più di un bicchiere dovrebbe bastare, quindi avvolgete il panetto nella pellicola e lasciatelo riposare un’ora. A questo punto passerete alla pezzatura, dividendo l’impasto in porzioni più piccole che, con l’aiuto di un mattarello trasformerete in dischi di una ventina di centimetri e dello spessore di un paio di millimetri.
Non ci resterà quindi che versare abbondante olio di semi di arachide in una pentola o una friggitrice e, dopo averlo portato a temperatura, immergervi le nostre lestopitte (una per volta) finché risulteranno dorate. Adesso, con l’aiuto di una schiumarola le potrete scolare e farcire con gli ingredienti, rigorosamente di origine calabrese, che più amate e al primo morso farete un tuffo al centro della storia del Mediterraneo.