Da Plati’ ad Amatrice “per dare una mano” ma li accusano di essere sciacalli. Loro: è tutto un equivoco

Da Plati’ ad Amatrice “per dare una mano” ma li accusano di essere sciacalli. Loro: è tutto un equivoco
amatrice «Volevamo solo dare una mano a quelle persone disperate, ora, invece, ci additano come sciacalli, solo perché veniamo da Platì: ma è tutto un equivoco».

Rocco Grillo e Pasquale Trimboli ci avevano provato. Erano saliti su una Suzuki Vitara, 48 ore dopo quel terremoto che ha squarciato il centro Italia, pensando di «fare del bene». Ma da Amatrice, simbolo del sisma, sono tornati giù con l’accusa peggiore: quella di voler approfittare della tragedia per riempirsi le tasche.

La loro versione, fino ad ora, era un rigo nei giornali nazionali, che parlano di loro come «malviventi» - i due hanno precedenti per furto – che si aggiravano «tra le rovine di una casa diroccata» con «fare sospetto». Di passare per avvoltoi, però, non ne hanno voglia. E raccontano quel viaggio, durato meno di 24 ore.

«Ci siamo ritrovati al bar con degli amici, a parlare di tutta quella gente disperata che avevamo visto in tv – racconta Trimboli, bracciante agricolo di 36 anni -. Dovevamo partire tutti insieme, ma non abbiamo trovato un furgone. Così abbiamo pensato di raccogliere viveri, coperte e vestiti in giro per il paese e di partire con la mia auto. Ma visto che avevano bloccato l’invio dei beni, abbiamo pensato di partire per dare una mano e basta».

Prima di mettersi in viaggio, alle sei del pomeriggio del 26 agosto, i due passano dalla caserma dei carabinieri di Platì, paesino di poco meno di 4mila anime, arroccato sull’Aspromonte, per tutti simbolo di una ‘ndrangheta prepotente e sanguinaria, ma che ha fatto vedere il suo volto migliore in più di un’occasione. «In caserma ci hanno detto che stavamo facendo una cosa bella – spiega Grillo, 38 anni, anche lui bracciante -. Siamo passati per capire se fosse il caso di andare e ci hanno detto che il volontariato è libero».

 I due arrivano ad Amatrice alle 3.30, nel cuore della notte. Incontrano la polizia, chiedono dove andare per dare una mano e vengono indirizzati alla tendopoli. «Lontano, dunque, dalle case», sottolineano. I due passano da una divisa all’altra, cercando qualcosa da poter fare, fino a quando un uomo della protezione civile, alle 6.30, dà loro dei guanti e li mette a pulire i bagni. «Era pur sempre un lavoro da fare», dice Trimboli. Poi vengono spediti a raccogliere la spazzatura dentro le tende. «Da soli abbiamo raccolto circa trenta sacchi», spiega Grillo. I due si fermano per la colazione e dopo aver preso un caffè in mensa tornano alla tendopoli, dove incontrano il presidente Sergio Mattarella e il capo della protezione civile Fabrizio Curcio. «Gli abbiamo detto che venivamo dalla Calabria – raccontano -. Ci ha dato la mano e ci ha fatto i complimenti».

Sono le dieci quando i due decidono di spostarsi di qualche metro, all’ombra, vicino alla loro auto, per fumare una sigaretta. «In quel momento – spiega Trimboli – è arrivato un ragazzo del posto, in macchina, e ci ha chiesto chi fossimo e il tesserino. Noi però non lo avevamo. Abbiamo spiegato che eravamo volontari ma una signora, arrivata poco dopo, ha iniziato a inveire contro di noi. Ci gridava: “dovete andare via, bastardi, infami”. Abbiamo provato a spiegare che eravamo lì per dare una mano ma ha continuato a urlare».

È in quel momento che arriva una ventina di uomini delle forze dell’ordine. Che avviano la procedura di rito: la consegna dei documenti, la perquisizione dell’auto, domande sul come e il perché si trovano lì. «I carabinieri hanno controllato l’auto ma non c’era nulla», spiega Trimboli, parole confermate dal verbale firmato dai due. Che per farsi credere mostrano i guanti e indicano chi li ha messi a lavorare. E pure lui, sostengono, prova a dire come sono andati i fatti.

«Ha spiegato che eravamo andati a registrarci ma era tutto bloccato – racconta Grillo -. Ce n’erano tantissimi come noi lì, non registrati ma che davano una mano». I carabinieri vogliono sapere perché partire da Platì per un viaggio così lungo. Loro insistono: «per noi era un onore poter aiutare qualcuno – sottolinea Trimboli -. Ho lasciato tre bimbi piccoli a casa, solo per dare una mano. Non per sentirmi dire che sono uno sciacallo». I due invitano i carabinieri a contattare la stazione di Platì ma i loro precedenti bastano e avanzano: furto. Fatti troppo specifici per lasciar correre.

«È vero, ho sbagliato anni fa ma ho pagato i conti con la giustizia, sono su una strada buona. A Platì abbiamo sempre dato una mano quando c’è stato bisogno», conclude Trimboli. A loro carico, ora, c’è solo un procedimento amministrativo presso la Questura di Rieti per il foglio di via, spiega il loro legale, Domenico Amante. «Il problema è che ora, per tutti, sono due sciacalli. Ma loro volevano solo aiutare».