REGGIO. Prolegomeni di una madama Butterfly

REGGIO. Prolegomeni di una madama Butterfly
Butterfly In principio è stato il verbo. La parola, come spesso accade nell’opera lirica, viene prima della musica: una storia, un dramma poi il melodramma. In questo caso, tutto nasce dall’equivoco di una parola, un termine: moglie.

Matrimonio giapponese, per un americano, è un contratto a tempo determinato di 999 anni, che può essere rescisso anche dopo un mese. Fin dall’inizio del dramma Madama Butterfly, e in tutte le diverse versioni, sono i fraintendimenti, le omissioni verbali, le incomprensioni a gestire i rapporti tra i protagonisti. La parola genera la frattura tra la realtà e il sogno, l’immaginario.

Ma procediamo con ordine. Nel 1887 appare in Francia, il racconto breve di Pierre Loti dal titolo Madame Chrysantème. Una storia dal carattere chiaramente autobiografico (l’autore era stato di stanza in Giappone e aveva contratto matrimonio con una giovane geisha) in cui l’ambientazione e la bizzarrìa della situazione sono l’attrattiva principale: i due protagonisti sono consapevoli di ogni loro azione e si lasciano da buoni amici tra piacevoli ricordi da custodire e monete d’argento da spendere. Tale racconto viene anche tradotto e pubblicato in Inghilterra, dove John Luther Long ispirato da una storia analoga, -raccontatagli dalla sorella, moglie di un reverendo metodista presso una missione a Nagasaki- scrive la prima Madama Butterfly. In questo caso la storia finisce con un tentativo di suicidio da parte della Butterfly/Cho Cho- San che viene soccorsa dallo sposo F.B. Pinkerton ritornato in Giappone con la moglie americana. È, però, la pièce teatrale scritta e messa in scena da David Belasco a New York, nel 1900, che conquista il cuore di Puccini con quei quattordici lunghi minuti, che raccontano nel silenzio, la lunga veglia di Butterfly, in attesa dell’amato Pinkerton, immersa in un vivido tormento di luci e ombre. Ecco una nuova eroina.

Confrontando le tre versioni, tenendo in conto le differenze di prospettiva dei racconti, emerge un’immagine “monolitica” di B.F. Pinkerton, il cui nome per esteso è Benjamin Franklin (tranne che nel libretto di Giacosa e Illica) denotando con questo nome altisonante, le ambiziose pretese realizzate con la stipula del contratto: casa più moglie giapponese devota e disponibile. Per quanto il comportamento di Pinkerton possa lasciare perplessi, risulta comunque chiaro e coerente per tutto il tempo.

In effetti, di versione in versione, si assiste a un certo appiattimento della sua figura che diventa più ambigua, senza intaccare tuttavia la sostanza del carattere del personaggio.

La continua necessità di traduzione, di trasposizione da una cultura all’altra rende ardua la comprensione tra i protagonisti Cho Cho-San e Pinkerton che riescono a concordare sulla superficie delle cose ma non nel loro carattere più profondo, ad esempio, Madama Butterfly si considera ostinatamente una sposa americana, il cui divorzio è sancito dal giudice. In questo caso, i termini legali dei due tipi di matrimonio sono confusi in una matassa, il cui filo resta ostinatamente tra le dita della bella giapponese. Nella versione di Belasco, l’inglese stentato di Cho Cho-San diventa la chiave della sua testardaggine. Il tentativo di spiegazione si arresta dinnanzi all’impossibilità di comunicazione: una moglie americana anche in Giappone è per sempre!

Per ogni parola, detta da qualunque personaggio, Madama Butterfly opera sempre una censura a monte in tal senso: non ascolta, o non comprende. Persino quando il console Sharpless le legge la lettera di Pinkerton e tenta di chiarirle il significato, che lei continua a fraintendere, gli intima incredula di uscire di casa. Il linguaggio diventa il fulcro della incomprensione non tanto delle azioni, quanto dei sentimenti. Madama Butterfly si culla nel suo autismo sentimentale ponendo in essere delle scelte frutto della fantasia del suo amore portato avanti dalle sue illusioni delle quali è l’unica responsabilità. Le sarebbe bastato sollevare lo sguardo, o voltare la testa per cogliere le continue allusioni, i tentativi di dissuasione dal suo folle progetto perpetrati da tutti i personaggi.

Quelle serrature che Pinkerton mette alla porta di casa sono le stesse che Butterfly pone al suo essere. Si pone prigioniera di un amore tutto suo, che la presenza del figlio non riesce a scalfire: il figlio è di Pinkerton, è il suo prolungamento.

Il personaggio di Cho Cho-San risulta di difficile lettura nella versione di Giacosa e Illica, dove in apparenza, all’amore ingenuo e spassionato, si sostituisce la vergogna e il disonore per il tradimento di Pinkerton. Sicuramente un approccio di questo tipo risulta più gestibile sulla scena del melodramma, dove non si è mai andati troppo per il sottile e l’onore compromesso è un classico di diversi personaggi dell’opera.

La perdita dell’onore in Madama Butterfly coincide con lo squarcio sulla realtà che la lascia sguarnita di qualunque illusione.

E poi, su questa Madama Butterfly barocca nelle chinoiserie e zeppa di luoghi comuni, dalla poesia superficiale e dalle rime facili, si innesta la musica di Puccini che accende l’anima dei personaggi, ne integra la ricchezza emotiva e la complessità, rendendo colore e sfumature con caratterizzazioni e straordinarie innovazioni, ma soprattutto donando alla protagonista l’immortalità di un carattere ancora oggi vivido e attuale.