In origine l’essenza (u spiritu) si estraeva manualmente: le bucce venivano spremute contro delle spugne che, una volta ben imbevute del prezioso olio, erano strizzate energicamente e il liquido di cui erano intrise raccolto in ciotole smaltate (i conculini). Era questa un’operazione lunga e laboriosa che certo non consentiva la totale estrazione del prodotto. Le prime macchine pelatrici, frutto dell’inventiva degli artigiani calabresi, migliorarono la procedura di estrazione dell’olio essenziale e accorciarono i tempi della lavorazione. Le più moderne macchine industriali raspano la superficie del frutto con acqua corrente e convogliano l’emulsione in centrifughe dove l’essenza viene separata dall’acqua per differenza di peso specifico.
Nella mia memoria sono impressi tanti ricordi legati al bergamotto, essendo io nata in una famiglia di piccoli produttori di tale agrume, che costituiva anche la nostra principale fonte di guadagno. Mio nonno aveva una sorta di venerazione per il suo agrumeto, seguiva personalmente ogni fase della coltivazione delle piante, dall’aratura all’irrigazione, dalla potatura alla raccolta del prodotto, si avvaleva della collaborazione di un bracciante fisso cui si aggiungeva manodopera straordinaria nei periodi di lavoro più intenso. Estraeva l’essenza in proprio ed esigeva che ogni passaggio della lavorazione fosse eseguito a regola d’arte. I frutti dovevano essere staccati dai rami con delicatezza e posti in grandi panieri o ceste, gli uni e le altre foderati di iuta, per preservare al massimo la buccia dei frutti dove sta la preziosa essenza. Dal giardino venivano trasferiti dentro un magazzino e deposti sulla paglia in un angolo recintato da assi di legno (u scaru).
In un angolo dello stanzone una stufa a carbone che, giacché il bergamotto viene raccolto e lavorato in inverno, garantiva all’ambiente il tepore necessario a rendere i frutti pronti alla raschiatura. Per questa operazione si affidava all’esperienza di Consolato che, ogni mattina di buonora, si sedeva davanti alla macchina pelatrice: un cubo di legno, sormontato sul lato destro da una ruota metallica sulla quale scorreva una cinghia, con al centro un foro del diametro di circa quaranta centimetri che aveva sul fondo un gran piatto metallico, forato al centro e infilato in un perno, dalla superficie ruvida e bucherellata (a
coppa) che veniva riempito di frutti , quindi si avviava la macchina, alimentata con l’ elettricità.
Iniziava la raschiatura, i frutti pelati restavano nella coppa mentre un liquido oleoso misto alla buccia grattata si raccoglieva in un grande recipiente di rame posto al di sotto (u bavanu); si andava avanti fino a che u bavanu non si riempiva, mentre i frutti pelati erano raccolti in grandi mastelli di legno (i ruaci). Il bavanu era quindi trasferito in un altro ambiente e il suo contenuto versato in sacchetti di panno di lana lunghi e stretti (i saccotti) appesi con dei ganci ad un’asta di ferro, da essi colava in contenitori di rame l’olio essenziale di colore verdastro o tendente al giallo, a seconda del grado di maturazione dei frutti, dal profumo intenso e persistente.
Dopo alcune ore dai saccotti non colava più niente, ma erano intrisi di essenza e, per non sprecare nemmeno una goccia di quella ricchezza, venivano collocati in un torchietto e spremuti a dovere. Alla fine al loro interno restava solo una polvere pressata (a muddhicata) che una volta asciutta era utile per appicciare il fuoco. L’olio essenziale alla fine del processo estrattivo era raccolto in contenitori di rame (i rameri), e venduto ai grossisti che lo spedivano ai profumieri di tutto il mondo. I frutti pelati finivano in una tramoggia e triturati grossolanamente per poi essere accatastati vicino alla stalla: costituivano un cibo particolarmente gradito da ovini e bovini.
Le procedure della lavorazione artigianale, fatta da ogni singolo produttore, trovo che avessero un fascino particolare, lontanissimo dalla fredda prassi industriale. Mio nonno e tanti altri come lui mettevano il cuore nel loro lavoro. Arrivare al prodotto finito era una soddisfazione indicibile. Le ramere contenenti il prezioso olio arrivavano a custodirle anche in camera da letto, perché il frutto delle fatiche di un anno intero era preziosissimo, avrebbe garantito il sostentamento della famiglia per l’anno a venire e andava accudito quasi come un figlio.
Fu molto triste il nonno quando il suo spiritu non fu più accettato al Consorzio del bergamotto, dove lo conferiva ogni anno. Gli spiegarono che i tempi erano cambiati e l’essenza si doveva ormai estrarre solo in modo industriale. Fu così obbligato a chiudere il suo piccolo laboratorio e vendere i frutti allo stesso Consorzio che non accettava più il suo prodotto finito.