Se diciamo che l’UNICAL assieme al Porto di Gioia Tauro è stata forse la cosa più bella degli ultimi 40 anni in Calabria si dice una cosa esagerata? Guardiamo solo alla prima: aule adeguate, docenti apprezzati e un titolo di studio sempre più spendibile sul mercato del lavoro, anche nel Mezzogiorno. È la “fotografia” dell’Unical che emerge dal XXVI Rapporto sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati pubblicato a fine giugno dal consorzio Almalaurea.
Da sottolineare subito l’origine sociale dei laureati del 2023 presso il campus di Rende: il 75,3% è stato il primo membro del proprio nucleo familiare ad ottenere il titolo universitario, mentre a livello nazionale il dato scende al 67,5%. Sembra quanto mai attuale, pertanto, la visione dei padri fondatori dell’Unical che sognavano un ateneo in grado di svolgere con incisività il ruolo di “ascensore sociale” per i giovani calabresi. La politica di potenziamento delle risorse umane, portata avanti in questi ultimi anni, ha avuto un impatto decisamente positivo sulla qualità complessiva dell’esperienza universitaria degli iscritti, confermata dall’incremento del 28% delle domande di ammissione anticipata ai corsi di studio, dato in crescita per il quinto anno consecutivo. Infine Almalaurea smentisce, con dati oggettivi, anche quel luogo comune che una volta finiti gli studi se ne andranno: la maggior parte di coloro che studiano all’Università Calabria non solo trova lavoro, ma lo trova al Sud.
La percentuale di laureati di secondo livello (magistrale biennale o a ciclo unico) che lavorano a un anno dal conseguimento del titolo sale di oltre tre punti percentuali, passando dal 65,9% al 69,1%, mentre la media nazionale è in diminuzione. La medesima tendenza si registra a cinque anni dalla laurea: l’Unical sale dall’81,3% dello scorso anno all’attuale 82%, contrariamente a quanto accade per la media del Paese che scende di 0,5%. Tra i laureati Unical che hanno trovato occupazione, sei su dieci lavorano al Sud (+2,7% rispetto al precedente rapporto), il 28,5% al Nord, il 10,3% nel Centro, il 3,6% all’estero (+0,9%). L’ateneo si conferma dunque importante fucina di formazione della classe dirigente meridionale, sfatando un cliché che vedrebbe la maggior parte dei laureati dell’Università della Calabria assorbita dal tessuto produttivo del Nord Italia. Quasi la metà dei laureati termina l’università in corso, con un voto medio di 101,6 su 110. Ha compiuto un’esperienza di studio all’estero (Erasmus in primo luogo) il 6,2% dei laureati, in crescita rispetto al 4,3% dello scorso anno, mentre la metà dei laureati ha svolto un’attività lavorativa durante gli studi universitari. Il 94,4% dei laureati si dichiara soddisfatto dell’esperienza universitaria.
Insomma un quadro che dimostra come quell’affermazione iniziale sul valore n 1 dell’Ateneo poggi su solide basi ma che soprattutto dimostri come la scommessa avviata a suo tempo da Beniamino Andreatta sia ampiamente vinta: fare cioè un luogo di cultura e di ricerca per permettere a miglia di calabresi di fare quello che non sarebbe stato possibile senza un ateneo residenziale in loco, laurearsi e fare il salto sociale. Questo è il vero primato, al di là delle eccellenze in ingegneria, informatica, intelligenza artificiale etc etc, che pure ci sono. Quello è un primato politico di primo livello.