Insomma, l’opera di un segugio delle parole, così come dei fatti, con la quale ha messo in fibrillazione più di qualcuno con i suoi precedenti saggi; vedi “L’invenzione del Ribelle, vita tortuosa di Bruno Misefari 1892-1936 cosìddetto «anarchico di Calabria»”, ma si vedano in rete, basta digitare il suo nome, anche i suoi articoli e le analisi su alcuni libri di scrittori affetti da“‘ndranghetite” come li definirebbe lui.
Già nel titolo del saggio “Saverio Strati scrittore di romanzi” Tripodi sembra appagare il desiderio di quel riconoscimento che il giovane Strati poi, a ragione, inseguirà per tutta la vita, quello di vivere di scrittura, o meglio, di Cultura, fino a pagarne prezzi molto alti tanto che ne sarebbe morto letteralmente di fame se non fossero intervenuti amici letterati e un giornale come l’allora “Il Quotidiano della Calabria”. E Tripodi il merito sembra riconoscerglielo tutto, ma allo stesso tempo non fa sconti alla scrittura di Saverio Strati. È il compito di un onesto critico-saggista, scrittore di romanzi a sua volta, (vedi “Il Catalogo della casa di Gianni” e “Cola Ierofani, Amori e politica nel Secolo Breve”) e lui a quel compito sembra essere asservito; mettici che è anche un profondo conoscitore e studioso delle vicende storiche e umane dei luoghi su cui Strati mattone su mattone innalza le proprie opere.
E la pazienza dell’orologiaio Tripodi emerge tutta nell’indagare i battiti del tempo e i suoi effetti nelle vite e nei respiri spesso affannosi e affannati dei personaggi stratiani. Questi riflettono spesso le vicissitudini delle vite di Strati, nonostante lo scrittore negherà questo teorema in varie occasioni. È uno smontare e rimontare opera per opera, ingranaggio per ingranaggio, molle e viti microscopiche, revisionarle con lente monoculare e lumino sempre acceso. Solo così si può penetrare nel mondo ticchetoso di Saverio Strati, fino alla sua “malinconia o nel suo pensiero critico verso il “fare” di certi suoi corregionali. Insofferenza che emerge in passi di alcune opere vedi “Il Ciabattino” di cui Tripodi riporta (pp. 74 -75). Strati porta con sé il l’inquietudine dell’emigrante, ma allo stesso tempo l’amore per la terra che ha abbandonato. Questo contrasto continuerà a emergere dalle voci dei suoi personaggi vedi Gente in Viaggio (1966) nelle opere successive a Noi Lazzaroni (1972) come nel il nostro turno (1975); Terra di emigranti (1979); “… Più in là ci sono i soliti incalliti che giocano a carte. Da anni li vede sempre giocare a carte. Come se la loro sia una missione seria e vitale. Però lassù non si vede giocare a carte, specie nei
giorni lavorativi. Lassù, lavorano e progrediscono” da Il diavolaro (1979). All’autore non sfugge l’urlo arrabbiato del primo Strati contro gli intellettuali col “…pedigree crociano o con il curriculum da normalisti … ai figli dell’intellighenzia prima di approdare nelle istituzioni o nel partito o nei partiti di sinistra…”. È lo Strati di Noi Lazzaroni ancora attuale al quale l’autore dedica un raffinato capitolo.
Giuseppe Tripodi racchiude nel ciclo “Terrarossa” le opere, La Teda (1957), Mani vuote (1960), Il selvaggio di Santa Venere (1977), quello con più contenuti “ndranghetologici per dirla alla sua maniera. 'Ndrangheta che con molta lucidità lo scrittore ne intuisce la mutazione e la pericolosità nella sua evoluzione futura rispetto a quella che lui stesso narra. La aborrirà senza mezzi termini e ne riuscirà a coglierne i semi tramite le parole del personaggio Mico Arcadi (Il selvaggio di Santa Venere) che Tripodi riporta a pag 30. Come dargli torto. Nello stesso ciclo sono presenti i temi che non abbandoneranno lo Strati maturo: il viaggio, l’emigrazione, i conflitti interfamiliari.
Di particolare interesse è il capitolo, “Lo scrittore nel suo labirinto”, dove l’autore descrive, tratti inquieti della vita personale e familiare dello scrittore, tanto che come riporta il titolo, sembra egli stesso finito sotto la sua stessa penna, perseguitato dalla sua stessa scrittura come si evince nei racconti che da quel periodo ne deriveranno, I cari parenti (1982) per esempio. In Tibi e Tascia (1959), Il Nodo (1965), Gente in viaggio (1966), Noi Lazzaroni (1972) secondo l’autore che analizza nella II Parte del saggio, Strati raggiunge il suo apice.
Quanto il lavoro di ricerca di Tripodi sia minuzioso nella costruzione del saggio lo si evince nelle pagine (110-112) in cui l’autore mette a confronto due estratti. Si tratta di un brano del Il pastore maledetto, della raccolta La marchesina (1956) e di un passo di Emigranti (1928), il romanzo di un altro grande scrittore calabrese, Francesco Perri in cui si nota un’evidente similitudine. Segno forse di una grande ammirazione da parte di Strati, tanto da subirne l’influenza, quasi da ricalcatore almeno per quelle righe.
L’indecisione nell’utilizzo del dialetto, l’ostinato tentativo di traduzione in italiano di parole, frasi, detti strettamente calabresi, secondo Giuseppe Tripodi, concorrono invece, ad un appannaggio dell’opera di Strati nella sua fase conclusiva. Un “pregiudizio antidialettale” messo sotto accusa anche dal suo amico e sostenitore Walter Pedullà, che Tripodi cita più volte nel suo saggio, insieme a un altro grande amico e sostenitore di Strati che è stato Pasquino Crupi. Ma Tripodi non toglie nulla al valore delle opere di uno scrittore così importante, che centellinano lo scorrere di un tempo, già lento a suo modo, a cui restano aggrappate le sue anime inquiete; un tempo e un mondo che Strati ha sapientemente certificato.
“Saverio Strati scrittore di romanzi” è un libro suddiviso in fasi di vita e scrittura, nove parti, 160 pagine che scorrono, offrono nuovi spunti anche ai vecchi conoscitori dello scrittore calabrese, mettono in luce le invenzioni dialettiche, l’ascesa, il successo internazionale e la parabola delle ultime opere, secondo l’autore, e ancora, la vita non facile di Strati, il soccorso degli amici letterati che gli sono stati vicini e che qui ritroviamo in una serie di citazioni che arricchiscono l’opera. Il saggio esce per motivi editoriali nell’anno del centenario della nascita di Saverio Strati, 16 agosto 1924, ma non si può definire un libro da centenario. Una parte, la prima era già uscita sulla prestigiosa rivista di critica letteraria «Belfagor» nel 2010.
C’è da dire, che la pubblicazione precede il tempo delle polemiche estive tra i rappresentanti della
Regione Calabria e l’Amministrazione del suo paese natale S. Agata del Bianco, pochi giorni prima
del centesimo compleanno dello scrittore. In pochi a discutere sulle opere, per fortuna riedite
dall’editore Rubbettino. C’è da immaginarsi Strati assistere alla bagarre, dall’alto della sua Terrarossa, prendere appunti per altre sue nuove postume a venire, come se fossero un prodotto di altre sue visioni, personaggi politici e non compresi, che a ragione o a torto discutono animatamente di finanziamenti per gli eventi in suo onore, per i cent’anni da morto. Tanti i soldi promessi, poi dimezzati, poi di nuovo ripromessi, stilando classifiche monetarie poco onorevoli nei confronti di altre ricorrenze ed eventi
per altri scrittori e poeti calabresi. C’è da immaginarselo Strati sullo sfondo, con un ghigno sarcastico sulle labbra, alzare un bicchiere di vino, seduto ad un tavolo di pioppo fiorentino su cui poggia una vecchia macchina da scrivere accanto una bottiglia di Chianti a metà. Dentro la macchina un foglio con delle battute da cui fuoriesce il titolo e qualche frase: “500.000 Euro” e sotto “… un miliardo di vecchie lire, e io che stavo puzzando di fame… e che ancora resto un morto di fame!”
Ironia a parte, questo saggio che a tratti potrà anche sembrare irriverente, può invece aprire dei dibattiti per far sì che l’opera dello scrittore non venga dimenticata, né sepolta sotto eventi effimeri e facili entusiasmi d’appartenenza territoriale. Di Saverio Strati forse ne possono nascere in una regione che non ha neppure una scuola intitolata a suo nome e che dalle parti della sua Terrarossa le scuole continuano a chiudere per delle leggi che tutto promuovono tranne che l’accesso all’istruzione. Altre Terrarossa stanno per ricoprirsi di felci e roveti, e forse si dimentica che quando chiude una scuola inizia a chiudere un paese, una montagna.
*Regista e autore (Quando mia madre indossò la maglietta di Franz Beckenbauer – 2022 – Rubbettino Editore).