Della molteplicità dei drammi calabresi, fra sciocchi e furbi

Della molteplicità dei drammi calabresi, fra sciocchi e furbi

dc     di GIOACCHINO CRIACO - Solo gli sciocchi o i furbi dicono che la ‘ndrangheta non sia un dramma enorme. I calabresi normali, quelli che vivono la quotidianità, sanno quanto possa essere asfissiante la presenza di piccoli e ingombranti esseri coppola muniti, che mettono bocca e naso nei fatti della realtà di ridotti o estesi agglomerati urbani calabresi, che si insinuano nei rapporti umani, economici, sociali e politici asfissiandone ed alterandone la normale dinamica, omuncoli che vogliono, o pretendono di averlo, conto del tuo agire, della vita altrui. Soggetti che tentano di imporre le loro persone e i loro interessi in tutte le sfaccettature dell’aggregazione sociale.     

E solo gli sciocchi o i furbi sostengono che la ‘ndrangheta sia il problema dei problemi, e levatolo di mezzo la vita calabrese diverrebbe strada piana e larga. Anche volessero Dio o gli dei o il caso, accompagnare una delle consuete albe luminose, che ci regalano da millenni, con la buona novella della scomparsa del mostro, difficilmente si trasformerebbe in miracolo il modello Calabria. Resterebbe in vita il 70% della disoccupazione giovanile e l’esodo biblico che ne è conseguenza, rimarrebbe un sistema viario medievale, un’organizzazione sanitaria di sponda africana, un corpo politico e dirigenziale inadeguato e clientelare. Resterebbero i disastri ambientali, la scarsità dei servizi. Ci sarebbe ancora tutta l’arretratezza e la mediocrità di un quadro sociale inesistente. Staremmo tutti, ovviamente, meglio e potremmo dire che si parte da zero invece che da un numero negativo. Ma anche senza mafia ci troveremmo a doverla costruire per intero una società nuova.                                         

Ora, se sciocchi e furbi non contassero nulla, potremmo almeno cullarci una speranza per il futuro. Purtroppo entrambi i generi, anche se male, pensano e, disgrazia somma per la Calabria, capita spesso che essi abbiano ruoli che li portino a condizionare la realtà che ci circonda. Cosi abbiamo tanti che, in tanti campi, operano come se la mafia in Calabria non ci fosse e altrettanti che si muovono come se l’unico ostacolo da rimuovere fosse la ‘ndrangheta. Da ciò consegue il vero dramma calabrese, un pantano immenso che diventa, esso si, un mostro enorme e invincibile.        

La Calabria non ha un problema, ne ha diversi nessuno risolvibile singolarmente, ha bisogno di una risposta sistemica che guardi al molteplice. Questa, nessuno vuole o sa darla. Così, sia per gli sciocchi che per i furbi è conveniente considerare la mafia quale unico problema, meglio ancora, è utile ritenerlo problema endemico, di origine antropologica e perciò contenibile ma non vincibile. In questo modo nessuno ha responsabilità di una colpa che è connaturata a un popolo. Nessuno ha un obbligo di risultato, ma solo un impegno a un utilizzo di mezzi di contenimento.                                                                                        

La politica si spoglia della sua funzione primaria e scarica il problema, e la responsabilità, sull’apparato repressivo, che fosse anche il migliore del mondo può conculcare le devianze ma non è deputato a produrre i modelli sociali. Lo Stato rinuncia a costruire, uno a uno, tutti quegli elementi che contribuiscono a rendere civile una società, limitando, essi, i processi di devianza. Si rifugia in quella che è la risposta più facile, e visibile nel breve, mostra la sua forza nel reprimere e tralascia la cura alla multiformità della sofferenza.                                                                          

Gli sciocchi si illudono e i furbi applaudono, e la Calabria si tiene le coppole, con quello che gli sta sopra, sotto e attorno: un sistema deviato nel suo insieme, una torta guasta con in cima la classica ciliegina marcia.        

E i calabresi lo stato dell’arte lo conoscono bene, ma stanno sotto e patiscono. Una sofferenza che si meritano, perché la colpa è loro. Il guaio sta nella loro viltà, nel loro silenzio surreale in mezzo a un frastuono reale di grida sciocche e furbe.