LA CALABRIA e i PROVERBI. Ma la meglio parola è quella non detta

LA CALABRIA e i PROVERBI. Ma la meglio parola è quella non detta
Lucania 61 di Carlo Levi 1 e1448722545775La megghiu palora è chiddha chi non si dici
Un proverbio sulla parola che ne sconsiglia l’uso; c’è dunque una scettica diffidenza sull’utilità ed essenzialità di ogni flatus vocis che può sfuggire al parlante senza che lui riesca a rivenirne in possesso: a palora mi scappàu ma poi no rinescìa m’a ricogghiu.


E la parola libera fa danni, più della spada sguainata: tagghia cchiù la lingua di la spata o, ancora, la lingua non avi ossa e spezza ossa.

Il parlar poco è consigliabile anche negli affari: cu parra assai non vindi tila.

L’uomo che chiacchiera diventa inattendibile mentre, al contrario, bisogna stare accorti con gli uomini di poche parole: schiàntiti di l’omu chi non parra e d’a chiumara chi non grida, stai in guardia davanti a un uomo di poche parole e ad una fiumara che fa poco rumore.

Palora dittu e corpu minatu, potrebbe essere il detto dell’uomo silenzioso di cui sopra.

Pericolosa dunque la parola ma è, a volte, indispensabile per comunicare desideri e bisogni (Bucca muta non pot’èssiri servuta); anche la meno ambigua è bisognosa di interpretazione dato che ogni palora ndavi centu varri; varro-i sta qui, evidentemente dal contesto, per ‘significato’ anche se appare molto difficile trovare l’aggancio etimologico: forse deriva dalla parola greco-calabra varo, carico, peso, (F. Condemi, la lingua della Valle dell’Amendolea, sub voce) che, probabilmente, è collegato alla radice greco classica bar- che introduce voci legate alla pesantezza; ogni parola di un emittente sarebbe dunque gravida di cento sensi tra i quali tocca al ricevente discernere quello giusto.

Eppure, per quanto sia complicato risalirne alle origini, c’è sempre una ragione nelle emissioni di voce: non senza ventu lu vascellu sferra / non senza frevi lu malatu sparra.

Senza parola non sarebbe stata possibile educazione alcuna: e, ai nostalgici del bastone e della carota, bisogna ricordare che vali cchiù na bona palora chi centu lignati.

Infine la ‘Parola’ con l’iniziale maiuscola, quella che incatena l’enunciante al suo contenuto meglio di qualsiasi altro atto: l’omu di palora è patruni d’a sacchetta di l’atri, la palora è megghiu di lu strumentu (l’atto rogitato dal notaio), l’omu si teni di la palora e lu boi di li corna, dove l’antitesi non è tra diversi modi di intendere il significato ma tra la ‘parola’ data dall’ ‘omu’, che ad essa è vincolato, e quella del ‘boi’, animale disonorato che è dipende materialmente dalla corda che gli stringe le corna.

Naturalmente da questi legami forti, nascenti da parole sillabate nonché da silenti e vigorose strette di mano, vengono escluse le donne astrette dalla società patriarcale al silenzio o alla chiacchiera: a bona fìmmina è chidda chi non parra, chi bucca ndavi e palora no.

Già, la continenza femminile che finisce sull’altare e tante delusioni reca ai maschi che ancora si ritengono i signori della parola; meglio avrebbero fatto ad dare ascolto al proverbio: pigghiari a fìmmina p’a palora è comu pigghiari a ngiddha d’a cuda ( Santi Correnti, 81/23).

Anguille le donne, scivolose, difficili da prendere, soprattutto dalla coda, e da incatenare alle tirannie maritali.