CATANZARO. Il dibattito: il grande progetto e la storia spezzata

CATANZARO. Il dibattito: il grande progetto e la storia spezzata
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 Leggere un articolo di Piero Bevilacqua è sempre una gratificazione per l’intelletto. Anche quando gli argomenti trattati possono creare suggestioni che, a volte, prevalgono sulle qualità indiscusse e unanimemente apprezzate dello storico e dell’uomo di cultura. Così il rischio, quando si parla di Catanzaro, per tutti noi che ci siamo nati e che l’amiamo, è quello di parlarne sul filo della memoria, delle emozioni del vissuto e non già con l’oggettività dei fatti, dei dati e degli avvenimenti nella loro dinamica e nell’ inesorabile procedere di cause ed effetti.

L’affresco sulla città elaborato da Bevilacqua, già apparso sulle prestigiose pagine de Il Mulino e riproposto da zoomsud, è di per se una lettura godibile e propone alcune chiavi interpretative della storia della città, dalla seconda metà degli anni cinquanta del secolo scorso ai nostri giorni, in parte condivisibili, perché frutto del rigore analitico dello storico intelligente, altre, a mio parere, più discutibili perché legate ad una rappresentazione dei fatti e delle dinamiche sociali e politiche della città, molto “esteriori”, non maturate sul campo, colte con l’amore del figlio lontano o riferite con la delusione dell’osservatore esterno, ma intellettualmente coinvolto.

Trovo ineccepibile la ricostruzione della vita di Catanzaro degli anni 60, tutta la voglia di partecipare alla costruzione di una nuova dimensione di città meridionale, legata alla sua storia, ma aperta al cambiamento, che abbiamo direttamente vissuto e che si rifletteva anche nel dibattito politico, sia pure bloccato nella contrapposizione tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Sono gli anni, per intenderci, delle prime esperienze di cineforum, l’incontro con Pasolini a Catanzaro, l’avventura irripetibile de “il Manifesto”, antesignano del più noto quotidiano nazionale. Del tutto corretta trovo, poi, la ricostruzione della vivacità di iniziative che caratterizzarono gli anni settanta sia pure con stridenti contraddizioni, il ruolo rapace delle classi dirigenti soprattutto imprenditoriali dedite allo sfruttamento esasperato della risorsa territorio ed episodi nefasti come la sciagurata demolizione della strettoia di Corso Mazzini, operazione figlia di una cultura urbanistica di fine ottocento e da cui può farsi discendere, tra l’altro, il futuro declino di questa parte vitale della città. Da quel momento il racconto di Bevilacqua, lontano ormai dalla città, risente di criteri di lettura più di carattere nazionale. Gli anni ottanta, definiti come “forse gli anni peggiori di dissennatezza” in piena “riscoperta del privato”, “dell’edonismo reganiano”... Anni in cui la città sarebbe stata oggetto della più violenta aggressione del territorio, delle sue colline, del suo panorama. Affermazioni che si stenta a riscontrare con la realtà vissuta di quegli anni.

Ebbene è necessario, forse, offrire allo storico elementi di fatto per un più puntuale raffronto e approfondimento. Il decennio 80 è stato caratterizzato dal primo vero tentativo di governo razionale del territorio, attraverso la Variante Spagnesi, la cui filosofia è stata quella del blocco totale delle nuove edificazioni, con l’obiettivo del recupero del patrimonio edilizio esistente, l’armonizzazione della città costruita, l’approvazione dei piani di recupero del centro storico, che avrebbero consentito la realizzazione di quegli interventi ricordati da Bevilacqua come Largo S. Angelo e lo stesso Corso Mazzini. Si immaginava un armonico sviluppo lungo le valli del Corace e del Castaci, si disegnava un grande asse attrezzato Catanzaro-Lamezia attraverso l’area direzionale e dei servizi di Germaneto. Si bloccava la grande speculazione edilizia sul Sansinato, ancora oggi devastata dalle aggressioni degli ultimi 20 anni, si preservavano le aree di rispetto di Giovino e attorno al realizzando Porto di Catanzaro Lido. Vero è che sulla spinta di certe forze popolari si indirizzò proprio verso il mare, all’Aranceto e a Corvo, il più grande insediamento di edilizia residenziale pubblica dell’IACP e di un forte e influente movimento cooperativistico, che sicuramente ebbe il merito di dare abitazioni civili a strati sociali meno abbienti, ma ha avuto il duplice effetto negativo di spopolare il centro storico e creare dei quartieri dormitorio, ostaggio della criminalità, malgrado l’enorme sforzo pubblico per la realizzazione di un vasto piano di urbanizzazioni primarie e secondarie. Per quanto riguarda l’aggressione del territorio basterebbe verificare il numero delle licenze edilizie e delle lottizzazioni rilasciate, con relativo numero di vani costruiti in quel decennio, malgrado le forti pressioni sulla Commissione edilizia da parte di piccoli e grandi proprietari dei cosiddetti mini lotti agricoli di 2.000 mq, rispetto a quelle rilasciate negli anni successivi, per rendersi conto che gli anni 80 furono anni caratterizzati dalla massima tutela possibile della risorsa territorio.

Ma quelli sono stati anche gli anni più prolifici e illuminanti per la vita della città, che cercava di difendere una sua identità e una sua specificità sociale all’interno delle realtà urbane calabresi, con una sua riconoscibilità a livello meridionale. Catanzaro, i suoi professionisti, il suo ceto impiegatizio, i suoi circoli, in cui potevano rintracciarsi i segni di quella società della Conversazione inaugurata nel XVIII secolo, alimentavano la vita culturale e civile, attorno alla grande fonte dei saperi del Liceo Classico Galluppi, ma soprattutto attorno al grande progetto dell’Università a Catanzaro, che cominciava a prendere corpo e dimensione, sostenuta fortemente dalle istituzioni e dalla società civile, che davano linfa e credibilità ad una visione e una idea della città e della politica realmente riconoscibili e partecipate.

Erano gli anni del centrosinistra, quello storicamente realizzato dall’incontro tra cattolici della Democrazia Cristiana e Partito socialista, assieme alle forze laiche, socialdemocratici e repubblicani, che doveva aprire nel capoluogo la stagione più significativa dal punto di vista riformistico e delle conquiste sociali ed economiche. Catanzaro era al centro di un grande dibattito nazionale e internazionale sulla stampa specializzata per le sue scelte urbanistiche e di architettura moderna, per aver interessato allo sviluppo e alla qualità urbana architetti del valore di Paolo Portoghesi, Marco Zanuso, Carlo Aymonino, Gabetti e Isola, Gianfranco Spagnesi, Franco Zagari, Massimo D’Alessandro. Sono quelli infatti gli anni in cui vengono ideati, finanziati, progettati e avviati i lavori del Complesso Monumentale del San Giovanni, Politeama, Funicolare, Auditorium del Galluppi, Piazza Matteotti, il primo progetto del Lungomare di Lido che prevedeva la pavimentazione piastrellata e disegnata da Mario Schifano, la prima progettazione della metropolitana leggera, che avrebbe dovuto ammagliare il centro con i quartieri e con i grandi parcheggi delle varie stazioni intermedie.

Semmai si apre su quegli anni una grande questione politica e si impone un ragionamento approfondito che ci porterà a comprendere perchè una certa sinistra, rappresentata all’epoca da un monolitico Partito Comunista, non riuscì mai a interpretare l’animo e la vocazione autentici della città, rimanendo pervicacemente abbarbicato sulle trincee di una opposizione preconcetta, se non pretestuosa, che tranne alcuni esempi di figure illuminate, non riuscì a dare un contributo reale e ad incidere sulla dialettica dello sviluppo della città. Anche se il livello del confronto, aspro e duro, toccava sempre vertici di approfondimento e di qualità, drammaticamente caduti in disuso ai giorni nostri. Ma questo serve, forse, a capire perchè ancora oggi, gli eredi di quella storia della sinistra italiana, stentano a leggere e interpretare le vere dinamiche di questa città, rimanendone sostanzialmente estranei e cercando di realizzare anomale alleanze attraverso improbabili operazioni di assemblaggio politico, che l’elettorato non capisce e rifiuta. Preferendo ripudiare il cambiamento a vantaggio della restaurazione.

Allora sono forti le ragioni, le motivazioni, anche per confrontarsi direttamente con l’attualità, che devono spingere ad aprire una discussione laica, sostenuti dalla dottrina del dubbio, più che delle certezze delle ideologie del secolo scorso, proprio su quegli anni, evidenziando errori immancabili e criticità, ma anche su come quel fervore di idee e di vivacità culturale e politica siano bruscamente venuti meno dopo i primi anni novanta e nel ventennio attuale e chiamando in causa intere generazioni di politici e di classe dirigente, che prima e dopo, non hanno saputo legare la propria azione e il proprio credo alla crescita civile di Catanzaro.

Era settembre del 1987, Piero lo ricorderà perfettamente, quando l’Amministrazione comunale da me guidata, aveva il privilegio di tenere a battesimo il primo numero della rivista di storia e scienze sociali Meridiana, edita proprio da IMES e di cui lo stesso Bevilacqua era prestigioso Direttore e si presentava con un interessante scritto su “Il Mezzogiorno nel mercato internazionale (Secoli XVIII-XX)”. Ricorrono 30 anni da quei momenti esaltanti in cui proprio da Catanzaro, capitale della Calabria, si apriva un grande dialogo con una generazione di intellettuali catanzaresi e non solo, da Augusto Placanica a Carmine Donzelli a Ida Dominijanni, Sergio Bruni, Salvatore Lupo, Raimondo Catanzaro e altri con l’obiettivo, ancora attuale, di affrontare e dibattere con coraggio i termini della “nuova questione meridionale” per portarla fuori dai confini locali e farne una grande questione nazionale. Allora, forse, rifuggendo da tutte le seduzioni della nostalgia si capirà il ruolo di quel decennio, prima che la città imboccasse il tunnel che potrebbe indirizzarla inesorabilmente verso il declino.
Infine un richiamo al maestoso edificio della cittadella regionale, sicuramente ipertrofico, ha ragione Bevilacqua, rispetto a quanto si produce al suo interno nell’interesse dei calabresi, ma almeno, forse, abbiamo qualcosa per fare invidia... al Palazzo delle Nazioni Unite.