Furono Scoppola e Reichlin ad usare l’espressione “partito-nazione”, volendo ricordare che le due tradizioni politiche che confluivano nel Pd (quella socialcomunista e quella cattolica-progressista) avevano avuto sempre una caratterizzazione nazionale, mai settoriale e men che mai territoriale. La mossa coraggiosa di Schlein di portare il suo partito all’opposizione della legge leghista, fino a promuovere un referendum abrogativo, non era affatto scontata. Nel recente passato i dirigenti del Pd si erano lasciati prendere da una febbre “territorialista”, che aveva logorato la funzione di partito leader degli interessi nazionali, fino al punto non solo di promuovere una riforma federalista nel 2001, ma addirittura di stilare con un suo Presidente del Consiglio un pre-accordo per l’applicazione della parte
sull’Autonomia differenziata con tre regioni, di cui una a guida Pd.
Certo, le intenzioni di chi promosse la riforma costituzionale nel 2001 sono lontane da quelle che hanno ispirato la legge Calderoli di oggi, tanto è vero che Berlusconi, Fini e Bossi votarono contro. La concezione di un federalismo solidale, in cui le singole regioni ricevono poteri autonomi ma non su materie di interesse nazionale e amministrano le risorse fiscali prodotte nei rispettivi territori, fermo restando l’obbligo per lo Stato centrale di provvedere alle esigenze delle regioni con minori capacità di finanziarsi, non ha niente a che fare con una idea dell’autonomia nella
quale ogni regione va all’arrembaggio dei poteri centrali nella lotta spregiudicata per strappare più funzioni e soldi a discapito dell’interesse nazionale e delle regioni più deboli. Il federalismo solidale (concezione discutibile ma costituzionale) non ha niente a che fare con l’egoismo territoriale, niente a che vedere con l’indifferenza verso le condizioni dei territori che stanno peggio. Il federalismo non è lo “sparpagliamento” delle funzioni dello Stato centrale verso le regioni che le richiedono. L’Autonomia differenziata è dunque una parodia e una interpretazione
tossica del federalismo. Si può essere autonomisti senza sfasciare il Paese. L’Italia è una nazione dal Brennero a Capo Passero, dal Gottardo a S. Maria di Leuca. Se dopo più di 150 anni di unità, il Nord e il Sud sono diversamente sviluppati (e nel meridione si erogano servizi non adeguati ai diritti di cittadinanza) è lo Stato che deve farsene carico utilizzando risorse prodotte dalle tasse di tutti i suoi concittadini. Nelle regioni del Sud si raccolgono meno tasse solo perché c’è minore sviluppo industriale e lavoro, non per malvagità o ozio dei suoi abitanti. Un Paese alle prese con così esasperati divari territoriali non può consentirsi di esasperarli, senza provare ad accorciarli. C’è un limite invalicabile nella distribuzione della ricchezza e dei servizi sui territori oltre il quale si cessa di essere una nazione.
In genere le riforme che incidono sulla storia di una comunità sono il frutto di una forte spinta sociale. Quella promossa da Calderoli e dalla Lega, invece, è una riforma “fredda” perché non sollecitata da nessuno dei principali attori sociali del Paese. Confindustria si è pronunciata contro per il timore delle imprese di dovere affrontare una foresta di regole e autorizzazioni diverse da regione a regione. Sono contrari i tre sindacati nazionali che temono un proliferare di contratti regionali che affievoliranno le protezioni dei lavoratori e innescheranno una differenza di retribuzione per gli insegnanti di Verona o di Potenza, per chi opera negli ospedali di Milano o di Reggio Calabria. Contraria è la Banca d’Italia; contrari sono i vescovi; contrari sono le Associazioni dei Comuni; contraria è l’Unione europea che paventa rischi per la coesione e per la tenuta dei conti pubblici. E non è una legge che farà male solo a una parte del Paese. Nell’ultimo saggio di Stefano Fassina (Perché l’Autonomia differenziata fa male anche al Nord) sono molto ben documentati gli argomenti in base ai quali la riforma leghista potrà, al contrario, rallentare la stessa economia dell’area più sviluppata d’Italia. L’argomento principale riguarda un dato ormai da tempo acquisto: la competizione tra grandi nazioni in Europa e nel mondo taglia fuori i sistemi regionali che si ritengono autosufficienti e che pensano di sfidare da soli le grandi economie del mondo.
L’Autonomia differenziata può essere la nostra Brexit? Cioè, una decisione che inciderà sulla nostra economia e sulla nostra influenza nel mondo al pari di ciò che la scelta di uscire dall’Unione europea ha rappresentato in negativo per l’economia della Gran Bretagna? Indubbiamente, le conseguenze potranno essere della stessa portata, anche se una cosa è uscire dall’Europa restando nazione (Gran Bretagna) e una cosa è restare in Europa sfilacciandosi come nazione.
Nel corso della raccolta delle firme bisognerà porre molta attenzione alla non convenienza economica per il Nord, ma sarà necessario dire parole chiare contro il sudismo. La difesa a tutti i costi anche dei comportamenti clientelari nel governo delle regioni meridionali non aiuterà ad allargare il consenso verso il sì al quesito referendario. Sudismo e nordismo si tengono reciprocamente e ci condannano al ruolo di piccola nazione.