L'INTERVENTO. La storia senza l'Occidente?

L'INTERVENTO. La storia senza l'Occidente?

Occidente senza Storia, Europa al bivio sono i temi al centro delle giornate della Scuola di formazione politica promossa da Patria e Costituzione, La Fionda e fuoricollana.it (Roma 6-8 settembre). Per risalire dal precipizio in cui neo-atlantismo e neo-unionismo ci stanno trascinando.

L’odierna guerra freddo-calda è l’ultimo stadio di questo precipizio. Una guerra combattuta anche, se non innanzitutto, contro le legittime aspettative del Sud globale. Il panico ‘senile’ per una Storia che ha cominciato a camminare al di fuori del dominio esclusivo dell’Occidente, per una Storia senza l’Occidente. Un orizzonte che è oggi possibile per una parte crescente dell’umanità e che è già pratica quotidiana di due terzi della popolazione mondiale. Uomini, tradizioni, culture che, dopo secoli di sopraffazione e di emarginazione, reclamano le loro ragioni: pari dignità, benessere emancipazione. E, magari, maggiore armonia. Ma non tutto è perduto per l’Occidente, se la sua parte più progressiva e universalista saprà riscoprire e mettere in forma quella forma di superiore intelligenza che è la generosità. Morale, intellettuale, politica.

 Gli apostoli della guerra al Sud globale
Quello che sto per dire non piacerà ai i benpensanti che scrivono per le ‘macroniane’ colonne de Le Grand Continent. Per questi benpensanti il Sud globale semplicemente non esiste. É un inganno frutto di visione stereotipata dell’Occidente (borghese, moderno, decadente) sostenuta da suoi nemici ontologici. Una nuova forma di Meridionalismo propagandato da attivisti postcoloniali e funzionari ben pagati dalle istituzioni internazionali che vagheggiano un mondo post-occidentale e che sputano nel piatto in cui mangiano. Insomma, nuovi barbari per il declinante neoliberalismo europeo.

L’unico argomento degli apostoli della guerra al Sud globale che ha a che fare con qualcosa che assomiglia alla verità è l’eterogeneità geografica tra i paesi che vi fanno parte (Cina e India si trovano nell’emisfero settentrionale, Australia e Nuova Zelanda in quello meridionale) e il fatto che la Repubblica Popolare Cinese supera tutti gli altri per potere politico, economico, tecnologico. Ma è un argomento spuntato, valendo allo stesso modo anche per il Nord globale.

Malta, Israele, non fanno forse parte del Nord globale? O Nord globale sono solo gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna, il Giappone e pochi altri?

La grande ossessione, il grande rimosso
 Economia e sociologia non sono mai punti di vista esaustivi, ma sono comunque un punto di partenza ineludibile per capire le ragioni profonde dell’ascesa del Sud globale. La Cina è da decenni l’ossessione di tutto l’establishment statunitense, democratico o repubblicano che sia. E lo è perché è il più grande esperimento di progresso sociale dopo la fine dei trenta gloriosi. Ma, purtroppo per noi, la Cina oltre che l’ossessione di tutto l’establishment statunitense è anche il grande rimosso del marxismo occidentale e del progressismo neoliberale.

Negli ultimi trent’anni, il Pil cinese è aumentato di 14 volte. Il tasso di mortalità infantile è stato ridotto da 42 a 7 ogni mille nati. L’aspettativa di vita si è allungata da 69 a 77 anni. Il tasso di iscrizione dei giovani che concludono l’Università è passato dal 3% al 58%. I cinesi in miseria, un tempo pari a due terzi della popolazione, sono oggi lo 0,5%. E poi, a questo impetuoso sviluppo dell’economia, si accompagna l’accesso di massa ai consumi, la formazione di un’ampia classe media, più sana, più istruita, più benestante. L’hegeliana quantità che, superata una certa soglia, diventa qualità.

Ma lì in Cina – si replica – non c’è libertà e democrazia nel senso del costituzionalismo democratico, il che è vero; se non esistesse, per stare al Vecchio Continente, l’ineffabile Ursula von der Leyen per la quale è opportuno limitare la circolazione della informazione a quelli che la pensano come Lei. Ma lì in Cina – si aggiunge – non c’è partecipazione alla vita politica, affermazione alquanto semplicistica a fronte di circa cento milioni di iscritti al Partito comunista. E infine – si dice – il socialismo di mercato non è che un colossale imbroglio, affermazione falsa per chi sa ancora leggere e far di conto.

L’unica cosa certa è che i cinesi e i due terzi della popolazione mondiale non sono più da tempo così attratti dalle nostre “libertà”. Non vedono dov’è il socialismo in Occidente. Non capiscono di cosa parliamo quando parliamo di mercato, visto che qui da noi le leve essenziali dell’economia, la proprietà e il comando, sono in mano a pochi oligopoli che le leggi del mercato le calpestano, indisturbati, tutto l’anno, ogni giorno dell’anno, ad ogni ora del giorno.

Il “credo” del Nord globale, “finché c’è guerra c’è speranza”
La verità è che oggi la Cina è storicamente e politicamente la punta dell’icerbeg del Sud globale. Le molteplici e disomogenee realtà economiche, politiche e culturali che questo ingloba – Paesi del Nord e Paesi del Sud quali Brasile, India e Sudafrica – non cancellano il comune realismo pragmatico adottato in ordine alla loro posizione nell’ordine internazionale. La risposta all’invasione putiniana dell’Ucraina nel 2022, quando numerosi paesi del Sud globale si sono opposti all’adozione del regime di sanzioni contro la Russia è il segno tangibile della ricerca di un’autonomia strategica, della volontà di muoversi nella politica globale bilanciando interessi nazionali immediati e obiettivi a lungo termine di sviluppo, senza essere strettamente legati ad allineamenti ideologici e alla politica dei blocchi.

Se non siamo ancora alla terza guerra mondiale lo dobbiamo in larga misura al Sud globale.  Mentre le classi dirigenti del Nord globale sono sempre più prigioniere dello scellerato credo “finché c’è guerra c’è speranza”, retoricamente e stancamente esibito anche in occasione del recente vertice di Washington per i 75 anni della NATO, specifici raggruppamenti del Sud globale, come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) ampliano la loro sfera di influenza e danno vita a forum che coinvolgono altri paesi quali Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti. Forum che hanno una crescente influenza sul commercio e sugli investimenti internazionali e dove si discute apertamente su come ridurre l’esposizione ai rischi dei sistemi finanziari dominanti, su come ridurre la dipendenza dal dollaro USA e dal sistema di pagamento SWIFT quali unici veicoli degli scambi internazionali. Mentre i temi sui quali ci sono interessi e opinioni differenti vengono momentaneamente messi da parte, per concentrarsi su quelli su cui c’è accordo.

Le virtù perdute dell’Occidente
Tutto questo di chiama geopolitica e geoeconomia al servizio dei popoli e delle cose di cui questi hanno primariamente bisogno. Generosità politica e lungimiranza, le virtù perdute dell’Occidente. Come ha scritto Salvatore Minolfi, nelle pagine di fuoricollana.it, il divorzio tra mezzi e fini, il ritorno del nemico a tutto tondo, sono il portato della qualità che l’ordine americano ha assunto da oltre un trentennio. Con la sua agenda, le sue formule muscolari, la sua opaca prassi, le sue istituzioni extraterritoriali.

È nel cosiddetto momento unipolare successivo alla fine della prima guerra fredda che va ricercata la chiave per la comprensione dell’inabissamento della politica occidentale, della sua manifesta incapacità di svolgere i propri compiti. Una defezione accompagnata da una delega in bianco allo strumento militare, nell’attesa irrealistica che l’esercizio della forza avrebbe compensato il declino delle capacità egemoniche, il vuoto di elaborazione, l’incomprensione dei processi storico-sociali.

Oggi siamo all’epilogo di questa illusione. All’economia di guerra, agli investimenti in armi come bene pubblico, al funzionalismo bellico. In passato il credo dell’Occidente, non è mai stato “finché c’è guerra c’è speranza”. Nemmeno nell’antica Roma si era giunti a tanto. In guerra sì, ma sempre con la pace in testa.  Oggi, invece, siamo alla guerra senza pace.

Per questa ragione non basta più dire “fermatevi finché siete in tempo”. Vanno fermati. E l’unica strada per fermarli è cominciare a dire la verità. Dire che si è aperta l’epoca di una Storia che non è più sotto il dominio esclusivo dell’Occidente. Che l’Occidente non solo sta invecchiando ma sta invecchiando male, la disgrazia più grande.

Non tutto è perduto

 Non tutto è, tuttavia, perduto se torneremo a coltivare le parti migliori di noi. Un piccolo esempio? Lo scorso 20 maggio il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha chiesto di spiccare dei mandati d’arresto nei confronti del primo ministro israeliano Netanyahu, del suo ministro della difesa Gallant e di tre dei principali dirigenti di Hamas. Il procuratore ha, in pratica, denunciato le violazioni di tutte e due le parti e giudicato inaccettabili, in nome della morale e del diritto internazionale umanitario, i ‘metodi’ di entrambe: lo sterminio, l’assassinio, il rapimento, lo stupro e la tortura da parte di Hamas e l’utilizzo da parte di Israele della fame come arma di guerra.

Perché non è vero che l’orrore non ha un volto. Ha sempre lo stesso volto sia quando si abbatte sulle ragazze israeliane sia quando si abbatte sui bambini di Gaza. E riconoscerlo e condannarlo è un modo esemplare di invecchiare bene. Questa volta, a differenza che in occasione dell’invasione Russa dell’Ucraina, è stato messo nero su bianco che vi è stata una duplice violazione del diritto internazionale. Il Sud globale non può denunciare, come nel 2022, l’ipocrisia della Corte penale internazionale per aver emesso un mandato d’arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin. Questa volta non v’è stato il ricorso ad un doppio standard, non vi è stato il ricorso a due pesi e due misure.

Il nostro programma fondamentale

Senonché nei giorni immediatamente successivi alla decisione della Corte penale internazionale, il governo israeliano e quello degli Stati Uniti sono immediatamente insorti contro, con l’argomento che la Corte ha proceduto ad “una equiparazione tra uno stato democratico e un’organizzazione terroristica”.

Argomento che, in realtà, accresce l’autorevolezza della decisione della Corte, la cui funzione è proprio quella di condannare chiunque si macchi di crimini di guerra, a prescindere dal fatto che si tratti del capo di uno Stato democratico o di una organizzazione terroristica. Ma l’argomento della equiparazione è anche una bugia perché le motivazioni dei due pronunciamenti sono diverse. Nel caso di Hamas riguardano il massacro feroce di israeliani negli attacchi del 7 ottobre 2023 e del sequestro di ostaggi. Nel caso di Israele, invece, si condanna la spropositata reazione all’aggressione, l’uccisione mirata di civili, donne e bambini, l’uso della fame, della sete e della denutrizione come armi e l’impedimento di distribuzione di aiuti umanitari.

Alla bugia si sono poi aggiunti il rancore e la tracotanza. La minaccia da parte degli Stati Uniti di applicare delle sanzioni alla Corte Penale Internazionale e al suo procuratore per le sentenze emesse.  E questo è proprio un caso esemplare di come l’Occidente invecchia male.

A noi tocca raccogliere e portare nuovamente in alto le virtù dimenticate di quell’Occidente che insieme all’Oriente seppe far nascere, dopo una disastrosa e tragica guerra civile mondiale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite e fare assurgere a dovere politico-costituzionale la promozione di un ordinamento internazionale che perseguisse la pace e la giustizia tra le Nazioni. Come postulato ancora dalla nostra Carta del 1948. E questo è ancora il nostro programma fondamentale: far vivere la Costituzione come recita il titolo della Scuola di educazione alla politica promossa quest’anno da fuoricollana.