Barack Obama, Papa Francesco e Matteo Renzi

Barack Obama, Papa Francesco e Matteo Renzi

Giannellidi GIUSEPPE GANGEMI - La sintesi migliore di come i mass media, che sono la spia delle visioni della cultura politica mainstream, hanno raccontato la visita di Obama in Italia giornata è stata, a mio avviso, la vignetta di Giannelli, sul Corriere della Sera, del 28 marzo. Nella parte superiore della vignetta, Papa Francesco benedice Obama che si inchina, mentre nella parte inferiore Obama benedice Renzi che si inchina.

 

Molti altri giornali hanno accennato all’emozione di Obama di fronte al nuovo Pontefice e all’emozione del Presidente del Consiglio Italiano rispetto al Presidente Statunitense. Si è anche sottolineata la dimensione internazionale del Papa e di Obama, mentre a proposito di Renzi qualcuno ha parlato del suo provincialismo nei confronti dell’ospite.
In altri termini, Renzi viene descritto, rispetto agli altri protagonisti della giornata, come piccolo (o, meglio, è stato “rimpicciolito”). L’incontro con Renzi è stato considerato poco rilevante. Importante sono stati definiti gli incontri di Obama con Bergoglio e Napolitano.

Quello che i mass media italiani non sono in grado di cogliere, e nessuno ne ha infatti parlato, è il fatto che una identica cultura accomuna tutti e tre, se non si legge Obama per quello che ha rappresentato nella prima elezione.
Obama è stato, la prima volta, un simbolo dell’avvenuta integrazione, alla pari, dei neri nel sistema politico americano. Dopo di che avrebbe anche potuto non essere rieletto perché un simbolo del genere funziona una sola volta. Nella seconda elezione, ha vinto un ben diverso Obama rispetto alla prima elezione. Lo ha intuito, senza saperne dire il perché, Mario Calabresi in un articolo su La Stampa, subito dopo la vittoria.

Dati gli indici negativi di una situazione economica di crisi, Obama non avrebbe dovuto vincere la seconda elezione. Ha vinto solo perché ha realizzato, nei quattro anni precedenti, una politica molto efficace nelle città americane. Per coordinare questa politica ha voluto un ufficio per le politiche urbane installato alla Casa Bianca.

Chiunque abbia analizzato i risultati per contea di quella seconda elezione presidenziale, ha notato che Obama ha vinto solo negli Stati a forte densità demografica e, quindi, nelle tante città medie, grandi e grandissime (Stati della costa Est, della Costa Ovest e intorno ai grandi laghi), e ha sempre perso negli altri Stati. In Florida, che è stata determinante, ha perso in tutte le contee agricole, tranne a Miami che è una città talmente popolosa che ha fatto pendere, da sola, la bilancia dei voti dalla sua parte. Ha espresso, nella seconda elezione, la cultura urbana (quella cultura della costruzione di comunità in cui si è intellettualmente formato) e non più quella della liberazione delle minoranze etniche.

Questa cultura delle politiche urbane lo mette in sintonia con Francesco I. La cultura di Papa Bergoglio è simile a quella dei vescovi statunitensi (che infatti, lo hanno votato contro gli Italiani). Questi hanno imparato ad andare tra la gente. Bergoglio ha condannato sempre l’ingiusta organizzazione economica, internazionale e nazionale, della società e delle classi politiche in quanto ritiene che siano loro che, aumentando gli squilibri sociali, producono più povertà di quanta ce ne sarebbe altrimenti. È più radicale degli altri due. Tutti e tre condividono, tuttavia, la denuncia della situazione di isolamento, e di distruzione del senso di appartenenza a una comunità, che si crea nelle città. Francesco I ha teorizzato che l’attenzione al prossimo si deve alimentare dell’atteggiamento civico dell’impegnarsi. Infine, ha fatto fare una indagine sulle grandi città e calcolare lo spazio di influenza di una parrocchia in un quartiere. Ha constatato che, nelle migliori delle ipotesi, è di 600 metri circa e ha invitato tutti i parroci ad andare oltre quei seicento metri in piccole cappelle o luoghi pubblici per incontrare i fedeli. Questa indicazione si configura come attivismo civico dei parroci, prima che attivismo religioso.

La cultura di tutti e tre è basata sulla pratica della partecipazione come strumento per la ricostruzione di comunità laddove questo tessuto connettivo si è lacerato. Renzi, da cattolico, è in sintonia con questo Papa e non ha bisogno di dichiararlo a ogni piè sospinto. È in sintonia anche con Obama. Tanto è vero che ha detto di Obama che è stato il suo mito.

Vorrei sottolineare che questo non è un segno di subalternità al Presidente USA perché essere diventato un mito significa essere stato superato. Obama ha definito Renzi come “sangue nuovo” e vi ha visto “grande energia”. Questo significa che Obama ha visto in Renzi il futuro. Un futuro che egli non rappresenta più. Ricordate l’Obama dei primi tempi che veniva mostrato scendere di corsa le scalette degli aerei. Lo fa ancora, ma le irriverenti televisioni statunitensi non lo inquadrano più mentre scende, metafora dell’andare verso il nuovo, ma mentre sale, metafora del passato che ormai esprime, anche se corre.

Il futuro deciderà se Renzi ha una statura paragonabile ai suoi due miti (nell’ordine, Papa Francesco e Obama). Ma un Paese come l’Italia (masochismo permettendo) ha bisogno di un futuro. Il glorioso passato lo abbiamo avuto molti secoli fa e un buon approccio al futuro lo abbiamo avuto, l’ultima volta, dal 1945 ai primi anni Sessanta, periodo in cui abbiamo fatto delle scelte che ci hanno allontanato dalla cultura che ha prodotto personaggi come Obama e Francesco I.