L'ANALISI. E in Italia fu lotta alla mafia senza il contributo dei servizi segreti

L'ANALISI. E in Italia fu lotta alla mafia senza il contributo dei servizi segreti
Gli studiosi delle mafie sono concordi nel ritenere che, se la polizia e i servizi segreti italiani di allora avessero indagato seriamente sul famoso vertice all’Hotel delle Palme di Palermo nel 1957, si sarebbe bloccato in tempo il ruolo che la mafia siciliana ebbe poi nel rifornire di droga i confratelli americani e anticipato di 20 anni quello che Boris Giuliano, capo della Squadra mobile di Palermo, riuscì a scoprire nel 1978 perdendo la vita.

La verità storica è che lo Stato italiano nel contrastare la più lunga, originale e resistente forma criminale della sua storia, cioè la mafia, non ha potuto contare sull’apporto dei suoi servizi segreti. Anzi. Se il ruolo dell’Intelligence è stato fondamentale nel ridimensionare negli Stati Uniti la mafia siculo-americana (e attualmente quelle latino-americane) e in Francia quella corso-marsigliese, nel paese per antonomasia delle mafie, l’Italia, non c’è stato nessun apporto significativo dei servizi segreti nel contrastarle, come se non venissero ritenute un pericolo per la sicurezza nazionale, almeno fino alla caduta del muro di Berlino.

Si tratta di un dato inoppugnabile. Nel corso di questa lunghissima guerra, lo Stato ha combattuto menomato, perché per varie ragioni alcuni suoi apparati erano schierati a sostegno dei suoi avversari o li lasciavano fare immaginando che la loro azione criminale potesse essere utile alla causa comune: impedire, cioè che i comunisti, legati alla nemica Unione Sovietica, potessero conquistare con il voto la guida di un paese occidentale schierato con gli Usa.

Se non vogliamo prendere in considerazione l’ipotesi di una forza delle mafie italiane superiore a quella dello Stato, allora vanno valutate altre interpretazioni sul loro successo. La solidità economica di oggi, dovuta in gran parte agli altissimi profitti procurati dal controllo del traffico delle droghe, non può da sola spiegare la sopravvivenza e l’ulteriore espansione nell’epoca moderna di una forma feudale di crimine. Perché hanno resistito tanto tempo? Semplicemente perché sono riuscite ad essere funzionali al potere interno e a quello internazionale, in quanto l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale è stata una nazione a “potestà limitata” con la funzione di baluardo geografico, militare e politico verso il pericolo che veniva dall’Est dell’Europa.

I servizi segreti hanno approfittato di questa situazione per consolidare un margine di autonomia che in nessun altro paese occidentale è stato consentito agli apparati di sicurezza. Si è codificata nei fatti una “doppia fedeltà” di alcuni uomini degli apparati più delicati dello Stato: una ai governi italiani e una agli Usa. Ciò consentiva ad essi di non sentirsi sleali verso la loro nazione quando compartecipavano o organizzavano in proprio azioni violente soprattutto quando le scelte governative venivano ritenute in contrasto con un filoatlantismo che assumeva il ruolo di una adesione insieme ideologica e viscerale.

Altrimenti come spiegarsi che solo in Italia, prima dell’entrata in scena del terrorismo islamico, siano avvenuti i più gravi attentati di massa in un paese dell’Occidente? Come spiegarsi che questi attentati, in cui sono morte centinaia di persone, erano organizzati con la collaborazione di uomini degli apparati dello Stato? Come spiegarsi che solo in Italia, escludendo l’omicidio del premier svedese Olof Palme, è stato ammazzato l’esponente politico più autorevole della nazione, Aldo Moro, e che più perseguiva una linea contraria agli orientamenti dell’allora establishment nord-americano, cioè l’alleanza con gli odiati
comunisti? Come spiegarsi che la maggior parte dei vertici dell’esercito, e delle forze di sicurezza e dei capi dei servizi segreti erano membri di una loggia massonica, la P2, e che si ripromettevano di cambiare l’ordine democratico dello Stato?

Ancora nel 1961 l’addetto militare dell’ambasciata americana a Roma, Vernon Walters, minacciava un intervento armato degli Usa nel caso di una partecipazione dei socialisti al governo. In quel periodo storico cominciano a prendere consistenza alcune strutture clandestine sostenute dalla Cia e dai nostri servizi segreti, tra cui Gladio (nata in Italia nel 1956) pronte a intervenire militarmente in caso di presa del potere del partito comunista. È il periodo del tentato colpo di Stato del generale Giovanni De Lorenzo (1964) per anni a capo del Sifar, l’allora servizio segreto italiano forgiato dalla Cia, di Junio Valerio Borghese (1970) e della nascita della P2 e dei tanti attentati in quel ventennio a stazioni, treni, banche e piazze.

Fino al novembre 1962, la sezione romana della Cia (i servizi segreti statunitensi) era guidata da Tom Karamessines che svolgerà poi un ruolo di primo piano nel golpe dei colonnelli in Grecia nel 1967 e in quello di Pinochet in Cile nel 1973. E prima delle elezioni anticipate del 1972, l’ambasciatore statunitense in Italia di allora, Graham Martin, finanziò il generale Vito Miceli, allora capo del Sid (il servizio segreto che aveva sostituito il Sifar del golpista De Lorenzo) le cui simpatie per la destra estremista e antidemocratica erano ampiamente note.

Insomma, i servizi segreti italiani, forgiati dall’ideologia atlantista, erano impegnati a fare attentati, o a depistarli, piuttosto che a sventarli. Ed è proprio in questo periodo storico che Giovanni Falcone colloca la definitiva legittimazione della mafia. Non ci furono contatti diretti in quel periodo storico tra servizi segreti e mafia, se si escludono i rapporti con il boss Pippo Calò e con Raffaele Cutolo per la liberazione di Ciro Cirillo, ma una mafia filodemocristiana e anticomunista aveva nei fatti via libera dagli apparati di Intelligence. Italiani e stranieri.
Ha scritto Luigi Zoja nello splendido libro Narrare l’Italia “Gli anglo-americani volevano un’Italia anti-comunista, si chiuse un occhio sul fatto che fosse anche criminale”. Tantissime volte nella storia recente dell’Italia il confine tra paese alleato e paese satellite degli Usa è stato ampiamente superato. Non a caso il capo della Cia, William Colby, ha potuto affermare alla fine degli anni Settanta del Novecento che l’Italia è stato il loro “più grande laboratorio di manipolazione politica clandestina”.

Certo, spiegarsi il successo delle mafie solo in questo quadro sarebbe una assurda semplificazione storica, perché le mafie avevano un loro ruolo centrale già molto prima della
Seconda guerra mondiale, in particolare in Sicilia. Ma trascurare questo aspetto sarebbe
altrettanto superficiale. Sicuramente i servizi segreti non hanno minimamente aiutato lo Stato italiano a combattere le mafie, almeno fino alla fine dell’Urss. In Sicilia si è assistito al massacro di una intera classe dirigente antimafiosa senza che gli apparati dello Stato riuscissero a fare qualcosa di serio per impedirlo. Come si può immaginare che si organizzassero attentati di quelle proporzioni contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, o contro Il presidente della regione, Piersanti Mattarella, o contro il capo dell’opposizione, Pio La Torre, o contro il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, senza che i servizi segreti ne fossero a conoscenza o riuscissero a sventarne almeno uno di questi?
No, non è possibile ragionevolmente pensarlo.
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