
Secondo l’Istat la durata della vita è prevista comunque in aumento, con una crescita media, entro il 2065, di oltre 5 anni per entrambi i sessi, giungendo a 86,1 anni per gli uomini e 90,2 anni per le donne contro, rispettivamente, 80,6 e 85 anni nel 2016. In crescita, di conseguenza, anche l’età media della popolazione, che passerà dagli attuali 44,9 a oltre 50 anni nel 2065. Considerando che l’intervallo previsto varia tra 47,9 e 52,7 anni, il processo di invecchiamento della popolazione è da ritenersi certo e intenso. Si prevede un picco di invecchiamento che colpirà l’Italia nel 2045- 50, quando la quota di ultrasessantacinquenni sarà vicina al 34 per cento.
Le future nascite non saranno sufficienti a compensare i decessi: dopo pochi anni di previsione il saldo naturale raggiunge quota - 200 mila, per poi passare la soglia - 300 e 400 mila nel medio e lungo termine. In questo periodo la fecondità è prevista in rialzo da 1,34 a 1,59 figli ma l’incertezza aumenta lungo il periodo di previsione, oscillando, al 2065, tra l’1,25 e l’1,93 figli per donna.
Infine, il saldo migratorio con l’estero sarà positivo per 165.000 unità con i migranti più numerosi degli emigranti.
Certo, l’Istat avverte che le sue sono “previsioni” e come tali per “per definizione e costruzione, incerte”. Ma si tratta di “previsioni” che proiettano nel futuro quanto sta già accadendo. Ma la possibilità che il ritmo s’inverta è, per il Mezzogiorno, pressoché nulla. L’Italia perderà 6,5 milioni di abitanti. Mezzo milione lo perderà il Centro, un milione sparirà dal Nord e cinque milioni verranno cancellati nel Sud del paese.
Ancora peggio andrà alla Calabria la cui popolazione verrà contata all’interno di una forbice che nel migliore dei casi nel 2065 vedrà 1mln e 700 calabresi (rispetto ai quasi 2 mln attuali e, nella peggiore, potrebbe sprofondare a 1 milione e 300mila abitanti. Insomma, se va bene, nel 2065 i calabresi saranno 1milione e mezzo circa. Un quarto in meno della popolazione attuale.