Lo sciopero globale del clima dei giorni scorsi indetto da Fridays for Future ha visto migliaia di ragazzi in piazza in tante città italiane. A Roma se ne attendevano cinquemila, gli organizzatori dicono che si sono raggiunti i diecimila. Ma i numeri non contano poi molto: il corteo da piazza Vittorio Emanuele a piazza della Repubblica era pieno di ragazzi, molti giovanissimi, colorati e impegnati. Tanti cartelli fai da te con pezzi di cartone, diversi striscioni più elaborati, alcuni con un tocco romano: “Fai la storia, svorta er clima”, “Ao, ma la volemo aiutà sta Terra?”. Altri internazionali: “There is no a planet B”. Altri classici: “Ci avete rotto i polmoni”.
Lo slogan della giornata era “Salvare il futuro non ha prezzo”, e in effetti questi ragazzi sentono il problema del clima come qualcosa che mette a repentaglio il proprio futuro, ma anche il proprio presente.
Poi c’e’ stato il summit di Milano con Greta e tutti gli altri.
Cosa chiedono i ragazzi? Una rapida azione sul clima ai leader mondiali. Chiedono, in sostanza, di rispettare gli Accordi di Parigi che quegli stessi leader mondiali hanno firmato nel 2015 in seguito alla COP 21 che si tenne nella capitale francese. In quell’accordo i rappresentanti di quasi tutti i Paesi della Terra si impegnavano a contenere il riscaldamento della Terra entro 1,5 gradi centigradi. Un accordo che non è stato ancora applicato.
Secondo un rapporto speciale pubblicato nel 2018 dell’IPCC, il gruppo delle Nazioni Unite che si occupa del cambiamento del clima, le attività umane avrebbero già causato un riscaldamento globale di circa 1,0°C rispetto ai livelli preindustriali. Il problema è che la temperatura continuerà ad alzarsi. Tra il 2030 e il 2100 avremo un aumento di 1,5°C, oppure di 2 o addirittura 3 gradi centigradi. Ma i tre scenari non sono casuali, dipendono da quello che faremo oggi. Le conseguenze, dall’innalzamento del livello del mare agli eventi climatici estremi ai fenomeni migratori e perfino all’aumento delle malattie infettive, saranno comunque difficili, ma via via che la temperatura cresce, saranno sempre peggiori.
Ora, dicono i ragazzi di Fridays for future, “dai calcoli dell’IPCC, all’attuale tasso di emissioni, la quantità di CO2 che possiamo ancora emettere per avere 2 possibilità su 3 di non superare quella soglia si esaurirà tra circa sette anni. È quindi l’ultima chiamata per azzerare le nostre emissioni entro questo lasso di tempo!”. In sostanza, il tempo sta per scadere. Abbiamo però ancora delle possibilità di dare una risposta a questi ragazzi, che poi sono i nostri figli.
A Milano dal 30 settembre al 2 ottobre c’e’ stato la Pre-Cop, l’ultima riunione ministeriale prima della Cop 26, la ventiseiesima Conferenza delle parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite che si terrà a novembre a Glasgow. Alla Pre-Cop di Milano hanno partecipato i rappresentanti di circa 40 stati, i rappresentanti del segretariato dell’Unfcc, e una serie di attori della società civile con un ruolo significativo nella lotta al cambiamento climatico.
I ragazzi dopo Roma e Milano vogliono avere risposte. Ascolteranno ancora solo parole?
Il rischio che si assista con sufficienza alle richieste di questi giovani spaventati ma non intenzionati a mollare è purtroppo presente. Basti pensare al poco spazio che dedicano alle loro proteste i media: un titoletto striminzito tra le polemiche sul green pass e le notizie di cronaca nera. E invece meritano che li si ascolti. Ad esempio, gli organizzatori delle manifestazioni hanno voluto mettere l’accento sulle diseguaglianze e le ingiustizie tra i Paesi e anche all’interno degli Stati stessi: “Le vittorie storiche dell’azione collettiva hanno dimostrato la necessità per i giovani di restare uniti nella lotta per la giustizia sociale e tra le generazioni”.
Quello del clima, come quello della pandemia, è un problema di tutti, ma che colpisce soprattutto i più disagiati. Loro lo hanno capito. Gli adulti – sembra- molto meno.