
Da chi e come nasce l’idea di aprire il C.STOF?
Siamo donne che abbiamo vissuto il tumore come cammino di fragilità ma anche come risorsa che ci ha permesso di incontrare le nostre vite, dandoci l’opportunità di ascoltare e condividere il dolore. L’idea nasce da un incontro tra due di noi, Cinzia e Amelia. Ci siamo viste in chiesa e ci siamo riconosciute, così è stato anche con Mary. Si sono aggiunte volontarie, tra cui una psicologa, un’esperta legale ed un sacerdote, insieme abbiamo deciso di aiutare altre donne che vivono l’esperienza della malattia.
Tu dici, ci siamo riconosciute, puoi spiegarci in che modo?
Riconoscersi è semplice. Dal punto di vista estetico, molte cose del corpo cambiano, il gonfiore determinato dal protocollo delle cure ormonali, la parrucca...
Il passo successivo, dopo essersi riconosciute, qual è stato?
Capire quanto all’inizio ti muove il bisogno di aiutare te stessa attraverso il rapporto con l’altra. Piano si comprende che non lo fai per te, ma perché chi incontri non si senta più sola. Questo avviene attraverso un percorso che può essere emotivo-psicologico, oppure spirituale.
Che prospettiva diversa ha aperto?
La differenza della prospettiva, secondo me, nasce dal proprio vissuto, come si è vissuta la fede prima, se e come la riscopri, questo porta al percorso spirituale. L’approccio dipende da quale esigenza si presenta lungo la malattia. Il centro è comunque laico, ad esempio, chi sente la necessità di un supporto psicologico può rivolgersi alla psicoterapia.
Nel gruppo di donne, c’è, come dicevi, la presenza di un religioso, puoi spiegare al lettore come si è armonizzata con la scelta laica?
La sua presenza va vista innanzi tutto come persona già sensibile alla problematica del tumore, anche quando dipende da un fattore ambientale. Il conforto, l’aspetto spirituale viene dopo, va lasciato alla scelta della donna. Così pure, il Centro non è chiuso agli uomini, chi vuole, ad esempio, il marito di una donna ammalata può aiutare.
Quando ricevete una donna, è quasi come un riflettersi vicendevole allo stesso specchio…
E’ importante che le donne sappiamo che c’è un posto, un punto di riferimento dove si è capite fino in fondo. Se non si è avuto a che fare con la chemioterapia, che è il veleno più devastante, più dello stesso intervento, non si può comprendere .
La paura gioca anch’essa un ruolo importante?
La paura ha una doppia faccia, perché ti immobilizza nel momento in cui c’è la diagnosi, in cui devi fare la chemio e non sai a cosa vai incontro. Cerchi persone che l’abbiano vissuta per non trovarti impreparata. Però c’è l’altra faccia, per questo nasce il centro d’ascolto: se ti fai chiudere ti rende invisibile, se invece, riesci a condividerla ti rendi conto che non lo sei più, ai tuoi stessi occhi e poi anche a quelli degli altri.
Diventa, in un certo senso, anche percorso terapeutico, oggi sappiamo che è importante nella guarigione anche il modo in cui si affronta il tumore.
C’è un messaggio dei medici che può essere frainteso, cioè: è meglio non parlarne. In effetti, a volte, tra le donne può nascere un confronto piuttosto tecnico su quello che si vive, ad esempio - a me hanno fatto la PET, a te invece no -. Non si deve confondere l’accompagnare una donna, il confronto umano, emotivo e psicologico del Centro di ascolto, con quello tecnico, che è meglio evitare, poiché ogni donna che ha avuto un tumore è una storia a sé.
Quando una donna entra da questa porta cosa leggete sul suo volto?
E’ come se dicesse: mi puoi raccontare quello che hai vissuto tu? E’ molto difficile aprirsi. La prima cosa è sentirsi accolta, per questo bisogna mettersi in gioco. Quando racconti alcuni passaggi, ti dicono: ecco, proprio questo volevo dirti… - anche tu quando vomitavi, mangiavi limone… anche tu, quando hai fatto la radioterapia, ti hanno fatto quella specie di tatuaggio al centro del seno per individuare il punto esatto… -. Sono quelle cose che solo chi è entrato in quelle stanze può conoscere, come: Anche a te è capitato quando sono caduti i capelli, di sentire mentre si staccavano? - . Sono le sensazioni estremamente dolorose del cambiamento del tuo corpo.
Come si vive questa “cosa” che ti aggredisce all’improvviso, è un nemico da combattere , oppure è comunque parte di te, che va assecondata, una risorsa, come voi dite…?
Sembra assurdo, ma in fondo è così. Ci sono delle fasi, quelle distanti dai controlli in cui ci convivi ed hai la percezione che sei più forte, perché paradossalmente avendola già vissuta la conosci e sai dove e che potrebbe ri-colpire. Aver superato così tanto dolore rende più forte. Ma ci sono altri momenti, vicini ai controlli, dove ritorni a 5, 10 anni prima, entri nella stanza con la paura di risentire la stessa frase.
Un cammino difficile, luci e ombre, rimozione e segreti…
Al Centro d’ascolto si possono dire cose che con altri proveresti vergogna. Chi ci è accanto, può vivere il senso di colpa, personalmente sarei ipocrita a negare, in alcuni momenti, di aver utilizzato la malattia per ferire mia sorella. Di aver pensato: perché a me e non a lei? Oggi che la malattia si allontana, i controlli vanno bene, mi accorgo che se parlo con donne che ci sono passate, adesso mia sorella, rifiuta l’argomento. Noi possiamo tendere una mano a chi rifiuta di parlarne, ma ci deve essere una libera scelta. Mentre in alcune donne il cambiamento del corpo e la mancanza di femminilità, ha fatto riscoprire una parte interiore sopita, molte altre, invece, esteriorizzano la malattia e desiderano tornare alla loro vita di prima.
Una fuga in avanti?
Si, ma portando la loro immagine precedente, la magrezza di prima, ad esempio…
Il tempo che si vive nella malattia è come un tempo rubato?
Stranamente la donna che sta vivendo il protocollo dei 5 anni è ferma a 5 anni prima e non si rende conto che il cambiamento non è solo medico, ma anche legato all’età. Le sono stati tolti 5 anni con l’ormonoterapia, le medicine…, non riesce a vedere un’evoluzione, ma solo un tempo rubato, appunto.
E’ importante che in una città ci sia un servizio per la comunità come questo?
Ci teniamo perché è il primo. Inizialmente c’era da capire a chi fosse rivolto, perché di tumori ce ne sono tanti. In particolare il Centro è mirato alle donne colpite dai tumori femminili, al seno, all’utero…, conosciamo quali sono le problematiche di un’ormonoterapia, di una menopausa forzata, la mancanza di un seno.
Si può in una frase sintetizzare l’esperienza vissuta?
Le sensazioni che si vivono sono contrastanti, esse sono… tra il dolore e la bellezza. Paradossalmente se non avessi sentito l’odore di morte che può dare la chemio, non avrei sentito il senso della vita e ritrovato la gioia di vivere.
Il C.STOF è in via Cimino, 4 (accanto alla Procura Generale, zona Piazza Castello)
E’aperto il lunedì dalle 9 alle 12 e il giovedì dalle 17 alle 19.