Lettera a Giulia sul coraggio di vivere

Lettera a Giulia sul coraggio di vivere

miro   di IDA NUCERA -

C’è sempre una soglia impercettibile che separa la scrittura del cronista, da quella dell’autore di commenti e riflessioni, a volte le due cose si incontrano e si sposano bene quando la storia trattata ha una connotazione particolarmente coinvolgente da non lasciare fuori dall’uscio chi sta guardando gli avvenimenti. Poi c’è un grado ulteriore di coinvolgimento che è quello del testimone che ha vissuto l’esperienza. Ne è un esempio la lettera- articolo che lo scrittore invia alla sua professoressa delle medie, morta nella solitudine e nell’oblio più totale, così com’era vissuta. Un acquarello reso delicato dal trascorrere del tempo, ma non meno amaro per la crudeltà di cui siamo tutti capaci, anche i ragazzi con le loro risate che feriscono, gli scherzi atroci, che segnano. Perché c’è sempre l’altro che differisce da noi, perché bizzarro, inetichettabile, diverso.

Così l’idea di scrivere alla ragazza che ha cercato con un gesto disperatamente plateale di dire al mondo, “aiutatemi”, si è consolidata e ha preso forma. Così ti scrivo, Giulia, nome di fantasia, che la settimana scorsa sei uscita di casa per andare a scuola ed hai rischiato di non tornarci più. C’è una serie infinita di “se”… Se avessi deciso di volare giù dalle scale antincendio, se avessi scelto un’altra modalità, se… Qualsiasi opzione è un pensiero precostituito, un giudizio, un voler mettere in cornice una storia che, cara Giulia, è solo la tua e di nessun altro. Come unici sono tutti gli altri ragazzi della tua età, dell’età dei nostri figli. Stelle che, illuminando, attraversano un cielo buio che non sappiamo raggiungere. Mine vaganti, che incrociamo nelle nostre accelerazioni quotidiane. Che rischiano di esplodere a volte. E che mai comprendiamo in pieno. Possiamo dire nella migliore delle ipotesi, di capire che un figlio, sta cambiando, che è più pensieroso o taciturno. Più allegro, forse innamorato. Ma saremmo presuntuosi se volessimo decodificare quali fantasmi vi si agitino dentro, quali paure affoghino i vostri sogni, di che sfumature siano le vostre ansie, in quali vuoti risucchiate le vostre giornate.

Soprattutto, se dentro le vostre lacrime, c’è ancora spazio per un arcobaleno. Sai, cara Giulia, due anni fa al Liceo che frequenti, è venuto un cantautore che, a chiamarlo così, è un po’ sminuirlo. Un uomo speciale, un artista ormai consumato dalla vita, che la vita l’ha attraversata tutta e lo si legge in ogni sua ruga, in ogni inquietudine dello sguardo. Uno che non se la tira. Poeta e professore, di quella pasta di cui dovrebbero essere impastati i veri professori, quelli che i ragazzi li ascoltano e li rispettano e non si fanno i cazzi loro. Non so se l’hai ascoltato, se ti piace. “I ragazzi nascondono lacrime sospese, canta Vecchioni, in una delle sue belle canzoni su quell’universo sconosciuto che siete voi, comici spaventati guerrieri che, Come gatte gelose dei figli. Hanno un bagaglio di speranze deluse. Come onde che s'infrangono sugli scogli”.  

Lui l’ha colto proprio bene quel dolore, quella difficoltà di vivere che troppi di voi si porta come peso indicibile e non colto, quelle lacrime che tenete gelosamente segrete. Tanto da annegarci dentro.

Io potrei essere tua madre, la vicina di casa che ti conosce, la persona che, per un’avventata comunicazione iniziale sui social network ha capito, ma non può, per discrezione dir nulla e deve far finta di niente. Dannate, ipocrite convenzioni! Forse sono solo una persona che è rimasta toccata dall’accaduto. Cara Giulia, in realtà, non ti conosco proprio, nel senso che si attribuisce alla parola, eppure è come se da sempre ti conoscessi. Chi scrive, è abituato al lavoro duro di immersione, di memoria e di scavo. Tu sei la ragazza che si incontra la mattina con zaino, l’amica dei tuoi figli, appena sfiorata, di cui non ricordi mai il nome, proprio quella che a volte abbassa lo sguardo e fa finta di non vederti, che pensi solo estremamente timida, sensibile a tal punto che anche un saluto può essere difficile. Perché uno sguardo potrebbe essere rivelatore, scoprire dove si trova, in quale bolla di angoscia abitava. Una minima comunicazione può incrinare quell’incerto andare sul filo. Farla precipitare giù. Così tu, Giulia, stavi lì in alto, come un’equilibrista, sempre più lontana dagli altri. Lontana dalla terra, dal contatto, dalla mano che ti scalda, che ti toglie la paura, che ti salva. Forse sono solo una madre che, se potesse, vorrebbe perderci del tempo con te, per parlare ed ascoltare le tue parole nascoste. Cercale le persone, non fuggire più. La realtà non è il mondo perfetto senza incrinature che gli adulti vogliono farti credere, non c’è più vergogna nel chiedere aiuto. La bellezza salverà il mondo? No, la salverà la fragilità rivelata e accolta! E poi voi ragazzi, avete fiuto per capire. Dove c’è la puzza della nostra ipocrisia e della nostra inadeguatezza, dove, invece un luogo per disinnescare la mina vagante e viverla finalmente la vita.