L’utopia della normalità di Mimmo il Curdo

L’utopia della normalità di Mimmo il Curdo
lucano2   «Gli hotspot in mare servono a mettere etichette sugli esseri umani. Per distinguere tra persone che possono essere salvate e persone che, invece, vanno abbandonate al caso». L’idea di Angelino Alfano non fa infuriare solo monsignor Galantino, segretario della Cei. Domenico Lucano, sindaco di Riace, nella Locride, tra i 50 leader più influenti al mondo per la rivista “Fortune”, inorridisce di fronte all’ennesima burocratizzazione dell’umanità. Come se l’utilizzo ossessivo della parola “emergenza” autorizzasse una cernita tra disperati, creando una élite.

L’idea del Viminale è questa: una grande nave che presidia il Mediterraneo, sulla quale allestire un centro d’identificazione per la fotosegnalazione ed eseguire un primo screening medico, rispedendo subito a casa chi non ha diritto all’accoglienza. Un procedimento che dovrebbe durare poche ore, mentre la legge, come ha evidenziato Galantino, prevede un iter ben più complesso e articolato: domanda d'asilo e ricorso in caso di diniego, sulla base della propria storia personale e non sulla base di una lista di paesi “sicuri”. Parole che fanno indignare il solito Matteo Salvini, leader della Lega, che definisce Galantino «complice degli scafisti, nemico degli italiani e dei rifugiati veri». Ma anche Alfano, che ci prova in maniera più soft: «abbiamo un grande cuore ma non possiamo accogliere tutti».

I numeri parlano di 47.740 migranti arrivati via mare nel 2016. Numeri altissimi che fanno paura, ma non a tutti. A Lucano per niente, ad esempio. Se non per il pericolo che le persone non diventino esattamente solo questo, numeri. «Non sono per i centri i collettivi, per le detenzioni, per le deportazioni, per i respingimenti. Sono per un’accoglienza degna di questo nome – dice indignato -. Volete davvero dei numeri? Eccoli qui: l’Italia aderisce a “Mare nostrum” mettendo in campo 160 milioni di euro per salvare, dice, almeno 200mila esseri umani. Intanto, il valore di un essere umano non può mai essere calcolato, è inestimabile. Però sempre l’Italia per la guerra in Libia ha stanziato 500 milioni. Basta questo dato per capire, no?».

L’idea degli hotspot non può andare giù all’inventore di un modello di accoglienza che è prima di tutto rinascita del posto che accoglie. Solidarietà a senso doppio, utile a tutti. «Noi siamo in prima linea ogni giorno per dare un contributo. Quello che facciamo è minima cosa di fronte a questo dramma – afferma -. Ogni bambino consegnato dalle onde alla terra è un’offesa che ci deve far vergognare di essere umani».

L’errore della politica è considerare le persone meritevoli di essere aiutati in base a carte bollate, accordi e direttive. Ma i migranti «sono obbligati da un mondo ingiusto ad andare via, per fuggire dalle persecuzioni, dalle guerre, la cui cabina di regia è lontana da quei luoghi. Siamo noi, che non li vogliamo accogliere, a creare quel dramma, mettendo le armi in mano alle dittature». Ed è per questo che la proposta di Alfano fa inorridire Lucano. Perché, ancora una volta, crea dei distinguo tra fame, guerre, miseria e persecuzioni. «Ci può essere una distinzione tra essere umani? Come si fa a decidere chi salvare e chi abbandonare? – si chiede - Gli hotspot sono una condanna a morte. Non ci sono differenze burocratiche. Clandestino, richiedente asilo: consegniamo tutto ad etichette, ma dimentichiamo che sono essere umani in fuga da morte certa. Io questo ho imparato. E cerco sempre di dare il mio contributo». Anche la parola emergenza, dice, è strumentale, generata dai «sistemi mediatici» per creare ansia e paura. «La vera emergenza ce l’hanno nel cuore», dice poi replicando a Salvini, che più volte lo ha criticato. «Possibile che una forza politica si basa sull’odio? Non ha altre cose da fare, Salvini? Perché parla sempre di odio razziale? Questo è un problema. Noi a Riace siamo in prima linea e continueremo ad esserlo. Daremo il nostro contributo piccolo ma sempre verso il rispetto della vita e con misure d’aiuto per un’umanità continuamente in fuga». Lui ha iniziato a farlo 18 anni fa, quando ancora non era sindaco. E ora che lo è da tre mandati, ha trasformato il suo sogno d’accoglienza in realtà. La chiama «l’utopia della normalità», realizzata in un paesino di meno di 2mila anime che si affaccia sul mar Jonio. Rifiuta i riflettori, detesta le poltrone. E con l’accoglienza ha creato un modello riconosciuto in tutto il mondo. «Io dentro un’élite non ci sto bene. Sto meglio confuso tra la gente», dice. Quando nel 1998, da consigliere di minoranza, ha aiutato alcuni profughi curdi appena sbarcati sulla spiaggia del suo paese a trovare riparo e conforto, aiutato dall’intero paese che è accorso con coperte e cibo, la sua vita è cambiata. Ha deciso di trasmettere il valore delle relazioni umane. E ha letterlamente salvato Riace. Il paese si stava spopolando, ma con lui è tornato a vivere, salvando i migranti dal mare e dando loro una casa e un futuro con i progetti Sprar (Servizio di protezione richiedenti asilo e rifugiati). «Tutto è nato per cao – racconta -, da uno sbarco e dalla voglia di riscattare questi luoghi che hanno nel dna l’accoglienza». Riace diventa la terra promessa, un posto dove ogni singola pietra racconta storie che stanno dall’altra parte del mare. Chi arriva lì, si aggrappa con forza al miraggio di una vita nuova, nel cuore della Calabria. “Mimmo il curdo”, come lo chiama questa enorme famiglia, ha rivoluzionato tutto. La scuola stava per chiudere ed invece è rimasta aperta grazie alla presenza dei bambini stranieri. Le case erano vuote e si sono riempite di culture e lingue di ogni angolo del mondo. Il sistema economico era al collasso ed ora le vecchie botteghe di una volta hanno ripreso a vivere. Si lavora al telaio, il vetro, la terracotta, si ricama. E sono riacesi e migranti a farlo insieme. Ispirato da Pasolini, «che interpretava l’ansia di un mondo che non riesce più ad avere rispetto per gli ultimi», “iscritto” ad una sinistra ideale e immaginaria, che si ispira a Peppino Impastato, Lucano rifiuta i partiti. «Hanno tradito la loro missione di vicinanza ai più deboli». Lui, però, ha scelto di stare dalla loro parte. Di lui si è innamorato anche il regista tedesco Wim Wenders, che sul modello Riace ha girato il docu-film “Il Volo”. «In Calabria – ha detto il regista presentando il film a Berlino - cadono muri ancora più importanti di quello abbattuto 27 anni fa in Germania». Ecco un modello per Alfano, dunque. Ben lontano dagli hotspot, dai centri di identificazione ed espulsione, dai Cara. «L’accoglienza a Riace nasce con l’idea precisa di ricreare la vita, di ricominciare, per chi arriva e per chi c’era già. Per molti, altrove – dice Lucano -, è un business ed io non lo posso accettare. Il nostro è un sogno d’umanità».