I personaggi spopolano sulla rete, gli attori sono divenuti di grande successo, una macchina da soldi importante. Il procuratore Gratteri sostiene che consegni un’immagine tutto sommato positiva della mafia, che i suoi personaggi siano “troppo simpatici” tra le gente e che questo sarebbe un danno nella lotta alle cosche. La tesi, riassunta dal giornale di Sansonetti, è «Il Pm deve essere più popolare dei superboss».
Detta da un magistrato come Gratteri la frase induce a qualche riflessione. L’esposizione mediatica della toga in questi anni è stata grande e di grande impatto. Libri, centinaia di convegni, dibattiti, dichiarazioni, interviste hanno fatto del magistrato calabrese il giudice più noto e stimato del paese. Da Salvini ad Orlando, dai 5stelle a, ovviamente, Renzi tutti lo accreditano di un enorme prestigio e di grande competenza. Davvero, quindi, «Gomorra è il male dell’antimafia»? come titola il “Dubbio”? In realtà, come anche Claudio Fava ha riconosciuto in un articolo pubblicato sul Suo giornale, caro Direttore, i mali dell’antimafia sono tutti interni all’antimafia: carrierismi, soldi, truffe, elargizioni, posti, beni confiscati, faide intestine sono stati, sono e saranno ancora sotto gli occhi di tutti. Lo stesso Gratteri è intervenute con parole molto rigorose e severe sul punto.
Immaginare che “Gomorra” metta nei pasticci il fronte della lotta alla mafia più delle vicende siciliane e reggine dell’antimafia è un modo di mettere la polvere sotto lo zerbino. La “simpatia” televisiva verso i camorristi di carta pesta e celluloide non ha nulla a che vedere con il “consenso” verso le mafie che si nutre da ben altre fonti, prima tra tutte l’endemica domanda di illegalità che proviene da settori importanti della cd. società civile.
Pare curioso che il procuratore Gratteri possa incorrere in una svista del genere e, probabilmente, si vuol riferire a qualche settore marginale e marginalizzato della gioventù che vive (semianalfabeta) nelle periferie campane o della ruralità ionica. Il “Padrino” ha rappresentato e continua ad essere uno dei più strepitosi successi mediatici e letterali degli ultimi 60 anni in Italia e nel mondo. I personaggi di Marlon Brando o di Al Pacino o Robert De Niro o di Andy Garcia hanno suscitato altrettante “simpatie” sino a divenire vere icone sociali e comportamentali. Ma a nessuno è venuto in mente di dire che abbiano ingrossato le fila di Cosa nostra. Salvatore Lupo ("Quando la mafia trovò l'America", Einaudi, 2008) ha dimostrato che, al più, "Il Padrino" ha influenzato l'atteggiamento ed il linguaggio dei mafiosi americani, ma certo non ha fatto proseliti. Un po' il male affascina, i personaggi negativi intrigano, ma è improbabile che il George Clooney di "Ocean's Eleven" abbia generato scassinatori e truffatori.