LA STORIA. Ndrangheta, lo strappo tra Nino “il Nano” e Pasquale Condello

LA STORIA. Ndrangheta, lo strappo tra Nino “il Nano” e Pasquale Condello
condello  Pasquale Condello gli aveva organizzato una “tragedia”. Lo aveva fatto passare come responsabile di un omicidio che non aveva commesso ed è per questo che lo ha consegnato nelle mani della giustizia, dopo averne coperto la latitanza per cinque anni. Nino Lo Giudice queste cose le aveva già dette. Ma nel faccia a faccia con i magistrati Antonino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Giuseppe Lombardo precisa i dettagli di quella storia, della quale era stato chiamato a riferire in aula. Dettagli che confluiscono nel verbale finito al processo “Borsellino quater”.

LA TRATTATIVA PER LA PACE E QUEI SOLDI MAI RESTITUITI - “Il nano” viene ammanettato nel ’91 ma poco prima di finire in cella è protagonista di un’estorsione all’Università di Reggio Calabria assieme ad altre persone. «Mi prendo i soldi, intanto vengo arrestato, chi resta fuori, Chilà Giovanni si prende i primi soldi, 50 milioni, e mi arrestano. Pasquale Condello che era intimo amico di mio padre, mi manda a dire che stavano facendo la trattativa per la pace di Reggio Calabria e che si era preso la responsabilità… si era preso la responsabilità sulla mia famiglia, dice». Il padre di Nino, fino a quel momento, era il reggente dell’omonima cosca. Una volta ammazzato, lo scettro del potere passa al figlio, sotto la supervisione del “Supremo”, Pasquale Condello. «“Essendo che con vostro padre c’era un rispetto e un legame, mi sono sentito in dovere di prendermi io la responsabilità” – queste le parole di Condello -; seconda cosa, voleva che gli mandavo indietro i 50 milioni e ho detto che soldi non… non ce n’erano. Dice: se non mi date i soldi indietro dice, facciamo un’altra guerra. Vuole fare un’altra guerra? Io mi difendo, diglielo che io mi difendo ma soldi non ce n’è». Condello rivuole quei soldi perché la zona in cui è avvenuta l’estorsione è “roba sua” e, quindi, anche i soldi sono suoi in qualche modo. La discussione termina qui ma poco dopo, tra il 2001 e il 2002, Condello, all’epoca latitante, manda a chiamare Lo Giudice chiedendogli un favore: ospitarlo durante la sua latitanza. «Io mi sono messo a disposizione e l’ho ospitato». Da Lo Giudice Condello ci rimane dal 2001 al 2005, «non gli ho chiesto mai niente!».

«CONDELLO SI FIDAVA» - «Si fidava di me, lui si fidava di me, lui mi conosceva chi ero, sapeva il mio passato, sapeva il passato dei miei genitori, dei miei zii, quindi sapeva che cosa stava facendo», spiega il pentito. Che ancora non sa quanto il Supremo abbia fatto alle sue spalle anni prima. Lo scopre solo nel 2007, quando viene arrestato. «Mi contestavano un omicidio e un tentato omicidio avvenuto a San Giovanni… in un’autobomba (quello di Maurizio Audino, ndr), gli avevano messo un’autobomba a un altro personaggio. A commettere questa cosa era stato un collaboratore, Lombardo Giuseppe di Reggio Calabria, uno dei killer di Pasquale Condello», racconta. Ma in giro si sparge la voce che l’autore dell’attentato sia lui, Nino Lo Giudice. Dopo l’omicidio, infatti, Condello avrebbe chiesto al suo scagnozzo di «passare voce» che sono stati i Lo Giudice. «E allora il Lombardo gli dice a tutti che siamo stati noi e quindi mi arrestano a me, però non sapevo niente io».

GLI AFFARI CON LA DROGA  -  «Nell’ultima volta che ci siamo visti con Pasquale Condello c’è stata una riunione a Pellaro di Reggio Calabria, di cui c’era Pasquale Tegano, Pasquale Condello, Carmelo Barbaro e altre persone, Paolo Schimizzi… tutti personaggi che comandavano, comandano a Reggio Calabria, per fare pace con… allora, Pasquale Condello ci teneva di fare pace con Pasquale Tegano perché era uno dei mandanti della morte di mio fratello», racconta ancora. Lo Giudice riesce anche a farsi inserire nel giro della droga da Pasquale Condello, che lo elogia di fronte a Giovanni Franco, «un grande trafficante di droga». Tutto sembra fatto, ogni accordo siglato e i Lo Giudice sono pronti ad entrare nel giro della droga. Ma succede un imprevisto. «I miei fratelli che fanno? – dice il nano - Dopo che io ho avuto, ho fatto tutti questi passaggi con Pasquale Condello, si riuniscono e mi dicono: noi non vogliamo sapere niente, né di Pasquale Condello, né di droga e né di niente». Il motivo è semplice, forse fin troppo: stanno bene, a livello economico, e non vogliono saperne nulla. «Siete quattro sbirri!», urla Lo Giudice ai fratelli, furioso per l’abbandono. Così manda un’ambasciata a Condello tramite Andrea Vazzana, indicato come il suo autista. «Gli dico: allora Andrea, gli dici a tuo cugino che da questo momento in poi non voglio sapere più niente io, né io e né i miei fratelli, se ha bisogno altre cose personali, appoggio, non c’è problema, però il discorso è chiuso. Da quel momento… ancora non era saltato fuori il fatto, dottore Di Matteo, quello che aveva fatto Pasquale Condello contro di noi – spiega -. Dopo questa, questo messaggio a Pasquale Condello le cose si sono raffreddate, non l’ha presa bene, ma era normale, io li avevo avvisati i miei fratelli, vedete che succede il casino!»

LO GIUDICE MEDITA VENDETTA - Lo Giudice scopre dalle parole dello stesso Lombardo che è stato Condello a spingerlo a mettere in giro quella notizia falsa. La “tragedia” viene compiuta tra l’89 e il 90. «Quindi tutto quello che io ho fatto per lui, cioè ma è… ma ho perso tutto, ho perso tutto, dottore Di Matteo, ho detto: non c’è più mondo allora! – sbotta il pentito - Allora, non solo m’ha tradito a me, ha tradito pure a mio padre, chissà quante cose ha fatto questo qua contro mio padre!». E comincia a perdere la fiducia in quella onorata società in cui era cresciuto e a meditare vendetta. «Volevo rovinarlo, dottore Di Matteo, mi sono messo in testa che dovevo rovinarlo e quindi c’erano dei rapporti freddi ma c’erano però i rapporti tra la famiglia Condello e me», racconta Lo Giudice. Qualcuno, però, starebbe meditando di uccidere suo fratello Luciano. «Trovano un furgone a Pellaro, San Giovanni di Pellaro, con armi, tutti kalashnikov e altre cose: poi tentano sull’autostrada a San Leo, un commando con una Matiz nera e c’era bazooka, kalashnikov e bombe a mano… questi vengono scoperti – spiega ai magistrati -. Allora, nel frattempo che mio fratello doveva passare di là, da questa strada, passa la Polizia e vede a questa macchina con questi qua sopra, posteggiati là. Torna indietro, questi abbandonano la macchina con le armi e scappano a piedi. Nel frattempo passa mio fratello, noi abbiamo la mira che era per lui, per mio fratello Luciano». Una serie di avvenimenti strani che mettono in moto Lo Giudice, che cerca di acquistare dei bazooka tramite Giuseppe Villani. Lui gli parla di una persona che vive a Verona, «che è con i Latella, si chiama Mercurio». Quando Mercurio arriva a Reggio, i due si incontrano nella rivendita di angurie di Lo Giudice, su viale Zerbi a Reggio Calabria, e tra la fine di agosto e i primi di settembre 2007. Dichiarazioni che, però, terminano qui, risucchiate da quindici pagine coperte da omissis.