REGGIO COM’ERA. Quando ci spassavamo senza una lira in tasca

REGGIO COM’ERA. Quando ci spassavamo senza una lira in tasca
lido   Pur lavorando di più e con tanti soldi in meno, il tempo per attività ricreative, cultura, affetti, era di più nel trentennio post bellico rispetto ad oggi. La socializzazione era altra cosa rispetto alla freddezza virtuale dei social. Si viveva insieme. Senza gli altri non ci si divertiva, non si cresceva, la vita era dannata.

La televisione aveva solo due canali di stato per poche ore al giorno: il monoscopio fisso fino alle 16, con il suo fischio assordante; poi improvvisamente la musica, due tre brani di classica. E alle 16,30 l’inizio dei programmi, la grafica che scorreva sulla musica del “Saturno” di Roberto Lupi. La TV dei Ragazzi, i cartoni animati presentati da Lucio Dalla, i documentari “Avventura” con la sigla di Joe Cocker, “Sapere” e molta divulgazione. Il film del Lunedi, lo show del sabato sera, lo sport in tarda serata il Mercoledi, i grandi sceneggiati curati maniacalmente ma dal ritmo oggi inconcepibile, i telefilm, i quiz del Mike e quasi nient’altro. A fine Settanta arrivarono “Odeon”, “Non Stop”, “L’Altra Domenica”. Fu una rivoluzione, ma questa è un’altra storia. La tv era fenomeno culturale ma non invadeva più di tanto spazi e tempi: nelle case ce ne era soltanto una, senza telecomando e con lo “stabilizzatore”. Di norma era il capofamiglia a decidere cosa vedere.

Si andava molto al cinema: a Reggio il principale era il Comunale (Il Teatro Cilea) con le sedie di legno e con temperature polari. La scelta era ampia: Siracusa, Supercinema (poi diventato Orchidea), Margherita, Moderno, Santa Caterina, Ariston, Dopolavoro, Pergola, qualche volta cinema all’aperto all’Arena Lido, c’era poi l’Amadeo, al confine con la “banchina di pietra” e poi, prima della stazione un altro cinema ancora. Molti reggini, dalla ringhiera della via Marina vedevano i film a sbafo. Le “Prime visioni” erano nei cinema principali, tutti sul corso a parte il Supercinema. Le altre sale trasmettevano film a raffica di ogni tipo, anche datati: da Via col Vento ai classici di Totò, dai film sulla mala ispirati dal genio di Sherbanenco (Milano calibro 9) a quelli di Kung Fu con Bruce Lee (la piazzetta di fronte l’Ariston si riempiva dopo dei suoi emuli) alle prime pellicole scollacciate con Carmen Villani, Paola Senatore, Gloria Guida e l’intramontabile Fenech. Ma c’era anche il circolo del cinema, ideato e realizzato dal professore Sebastiano Di Marco, intellettuale come pochi della nostra città: le scalette delle sue stagioni erano un omaggio senza confini ai grandi, da Pasolini a Sergio Leone, da Scorsese a Peckinpack, da Monicelli a Scola. Molti giovani non sanno quel che devono a Di Marco che fece nascere centinaia di passioni per il cinema. Alla fine di ogni film proponeva una scheda e si apriva il dibattito a ruota libera aperto a tutti.

A Reggio si ballava: in origine furono le feste a casa, con le sedie disposte lungo le pareti e i “grandi” che sorvegliavano, soprattutto durante i “lenti”. La musica era divisa in due filoni: gli “Svelti” (sic) e, appunto “I Lenti”, che erano l’occasione quasi unica per il (primo) contatto fisico tra ragazzi. Emozioni potenti, durante i Procol Harum o Frampton o i Bee Gees-prima maniera. Poi esplose la moda delle feste in terrazza: si piazzava un filo volante con delle lampadine (i più all’avanguardia usavano i faretti colorati), la grande novità fu il mixer a 4 piste che eliminava le pause tra un brano e l’altro, si bevevano birre Peroni calde, Coca cola e gassose e si mangiavano patatine o dolci fatti in casa. A Reggio d’estate si illuminavano le terrazze. A metà dei settanta irruppe la Disco Music e fu rivoluzione. I vecchi “dancing” si adattarono alla svelta, e in città aprirono le prime vere due discoteche, lo “Scacco Matto” (poi Peek-a-Boo) e lo Splash Down, in forte concorrenza; era tanto l’entusiasmo che aprivano anche la mattina (dalle dieci in poi) ed erano sempre sovraffollate. A mezzanotte si chiudeva però, tranne il sabato quando la musica continuava fino all’una.

Le pizzerie erano poche. Il rapporto con il cibo era diverso. Eravamo un popolo di eterni affamati: mangiare era anche una forma di gioia. Gelati e brioches, ghiaccioli e panini con pancetta e melanzane, e poi viennesi e pesche con crema e cannoli e arancini, i pomeriggi passavano così, tra una partita a pallone per strada, le cinquecento lire della nonna spese in cibarie varie, e poi andare a bere alle numerose fontanelle della città, oggi quasi tutte scomparse.

I centri di aggregazione erano le traverse del Corso, che indicavano  l’appartenenza all’uno o l’altra “comitiva”. Talvolta l’appartenenza a un certo gruppo politico. Perché la politica, anche se spesso solo per moda, era presente in dosi massicce nella vita di ogni giorno. Non c’era giovane che non avesse un’icona del secolo breve: da sinistra a destra era una continua citazione di Mao e Marx, di Evola e Mussolini, persino di De Gasperi e poi Moro. Per non dire del grade Che. Compagni, camerati e i “biancofiore” (Piccoli, Storti e Malfatti, si ironizzava elencando tre loro autorevoli esponenti). Si faceva a botte ma poi era facile la promiscuità politica, soprattutto se c’era da divertirsi.

Non era tutto oro. Apparve la bestia feroce dell’eroina che avrebbe portato via ragazzi rovinandone altri. C’era la malavita organizzata, sempre presente, si voglia o non si voglia. C’era disoccupazione, arretratezza culturale, ipocrisia e imbarazzo sul sesso (molto più raccontato che praticato). I gay erano insultati e derisi. L’abito bianco delle spose nella fantasia della comunità garantiva la verginità della sposa, ma di illibate al matrimonio ne arrivavano ben poche, ieri come oggi. Con le mille cautele del caso si faceva all’amore: androni delle terrazze, auto coi finestrini foderati dai giornali, spiagge deserte d’inverno e scantinati degli amici su materassi maleodoranti. Si usava tutto per l’incanto della trasgressione.

Lo sport si praticava oltre ad essere seguito. Il calcio era una religione. Le partite domenicali trasmesse solo alla radio costringeva a uno sforzo di fantasia che le rendeva epiche. La schedina giocata il giorno prima era un sogno ad occhi aperti di 24 ore. A metà dei Settanta esplose il tennis. I ragazzi disegnavano con il gesso campetti sull’asfalto e si trasformavano in Pietrangeli, Merlo e Panatta. A Santa Caterina infuriava il Basket, al Rione Ferrovieri arrivarono i più forti tennisti calabresi. Si giocava a ping-pong, il rugby conobbe una stagione d’oro, la palla ovale fu popolare quasi quanto il pallone di cuoio.

Reggio, distesa sullo Stretto, si adattava al futuro e covava speranze. Come qualcuno sostiene, persino l’aria era migliore. Saranno i vaneggiamenti dei nostalgici della gioventù, sarà l’incalzare delle brutte notizie odierne, ma ricordare come eravamo continua ad essere un vero modo per riassaporare quel candore e l’innocenza immaginata e perduta dell’intera società.