LA CALABRIA e i PROVERBI. Il cane morde sempre lo stracciato

LA CALABRIA e i PROVERBI. Il cane morde sempre lo stracciato
cane A boi sarvagiu / corda longa

Quando il bue è infuriato lasciagli la corda lunga, è il primo di una piccola serie di proverbi il cui modello sono le favole di Esopo, con gli animali metafore e rispecchiamenti dell’uomo; anche la moglie infuriata deve essere tenuta larga e pure i bambini capricciosi, altrimenti rischiano di trascinarti nella polvere.

Quando buoi, mogli e piccini si saranno stancati delle loro bizze allora sarà più facile ricondurli alla ragione.

Caca cchiù nu boi ca centu passeri ribadisce che è meglio una cosa sostanziosa, lo sterco del bue, che cento cose insignificanti come il guano del passero.

Cambiando le caratteristiche del soggetto pericoloso si muta la tecnica del controllo: a sceccu viziu / capizza curta, l’asino viziato va tenuto stretto di cavezza perché altrimenti getta a terra il carico.

Li scecchi si sciarrìanu  / e li barìddhi levanu la furia, gli asini litigano e i barili portano la peggio; ove si rende norma il fatto che l’incolpevole (i barìddhi) finisce per subire le conseguenze della cattiva azione del protervo (gli asini litigiosi). Detto altrimenti, e senza l’intermediario asinino, pati lu giustu pe lu peccaturi o, ancora, l’alberu pecca e la rama ricivi.

U cani si jetta sempri nt’o strazzatu fa parte della serie di proverbi che raccontano dell’accanimento del destino contro gli sventurati, qui rappresentati dai mendicanti che sollecitano sempre il riflesso d’ordine del cane da guardia; o, detto altrimenti, a l’afflitti e all’ammalati / nci calanu i cazi puru ssettati, a gli afflitti e agli ammalati scendono giù i pantaloni anche se stanno seduti

Mortu lu cani / morta la raggia ci dice che la morte azzera sempre le prepotenze e che, se muore il cane rabbioso, scompare anche l’idrofobia di cui era portatore.           

A gurpi vecchia / scansa la tagghiola, rimanda all’astuzia volpina acquistata col trascorrere del tempo oppure per ferite riportate sul campo di guerra: gurpi sparata / non torna a gaddhinaru, la volpe non torna mai al pollaio dove fu sparata.

Cu pecura si faci / lu lupu si la mangia, chi si fa pecora viene mangiato dal lupo, ci ricorda quanto sia inutile essere acquiescenti al più forte; alla stessa fine è condannato chi non porta con sé le cose di cui ha bisogno: la pecura chi non carrìa la so’ lana / si  la mangia u lupu, la pecora che lascia indietro la sua lana deve tornare a riprenderla, col rischio di incappare nel lupo che la divorerà.

Chiudiamo con un proverbio apparentemente ippico: cavaddhu strigghiu / ruina di pagghia, cavallo magro mangia molta paglia, ove con chiarezza si mette in guardia dal fidarsi delle apparenze.