
Siamo nel canto VIII, terzo cielo del paradiso, quello di Venere. La citazione questa volta è per Catona, oggi quartiere della periferia nord di Reggio Calabria, ma una tempo sede di una importante fortificazione posta nella zona strategica dell’aria dello Stretto di Messina.
A parlare è Carlo Martello, anima del paradiso che di sua iniziativa, alla vista di Dante, si avvicina e si rende disponibile a rispondere alle sua curiosità. Inizia dunque il dialogo con la prima domanda di Dante “Deh, chi siete?”. A quel punto Carlo Martello non pronuncia il suo nome ma invece fornisce una serie di informazioni utili a capire chi sia. Descrive infatti i confine di quel regno del quale, se non fosse morto troppo presto (morì infatti prima di essere incoronato re), sarebbe diventato il sovrano. Parla dunque della Provenza, dell’Ungheria, e del Regno di Napoli.
E proprio a questo punto arriva la citazione:
…“e quel corno d’Ausonia che s’imborga
di Bari di Gaeta e di Catona,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga”. VV 61-63
Carlo Martello infatti, figlio di Carlo d’Angiò re di Napoli e di Maria di Ungheria, tra le terre che sarebbero state sotto il suo regno avrebbe potuto avere anche il regno di Napoli.
Come di consueto nella Divina Commedia, quando si parla di un Regno ne vengo indicati i confini. In questo caso le roccaforti, gli avamposti militari difensivi. E infatti il poeta usa il termine “s’inborga”, cioè si fortifica. E così si citano le roccaforti che andavano a costituire un idealmente triangolo entro il quale si cingeva il Regno grazie agli avamposti stessi. Bari ad est, sul mar Adriatico, Gaeta ad ovest sul mar Tirreno, e Catona all’estrema punta sud, in una zona limitrofa al confine tra mar Tirreno e Ionio. All’epoca infatti Catona era un centro strategico di importanza rilevante, tale che fu anche coinvolto in importanti operazioni militari, per esempio a seguito della guerra dei Vespri, quando Carlo I la scelse come luogo dove far sbarcare il suo esercito per preparare l’assalto a Messina. E, forse non a caso, proprio i Vespri siciliani saranno citati da Martello dopo pochi versi. Con Catona si indica dunque l’estrema punta meridionale dell’allora Regno di Napoli.
Occorre anche segnalare, per completezza di informazione, che alcuni studiosi, come ad esempio il De Chiara, ritenevano che Dante, in questa terzina, si riferisse in realtà non a Catona ma bensì Crotone. Tuttavia questa interpretazione sembra difficilmente sostenibile. Sia perché Crotone non segnerebbe i confini del Regno di Napoli, sia perché fin dall’antichità Crotone era conosciuta come “Kroton”, e quindi uno nome ben diverso da Catona. Del resto lo stesso De Chiara nei suoi scritti avvisa che “ la lezione altra”, cioè quelle che si riferisce a Catona, “pur si trova in codici autorevoli”.
Ad ogni modo, dalla lettura di questi versi un elemento appare inconfutabile. Questa volta alla Calabria è stato riservato un posto in paradiso, e questa è certamente un’ottima notizia.