LA RECENSIONE. Benito Apollo, Apertura alla francese, Pellegrini

LA RECENSIONE. Benito Apollo, Apertura alla francese, Pellegrini

“Mi chiamo Zacharie Levy. Non so perché mia madre – fu lei a scegliere i nostri nomi e la nostra educazione – abbia dato a mio fratello, Ilan, un nome moderno, e a me, addirittura, quello di un profeta. Forse, in cuor suo aveva sperato o visto per me un futuro da rabbino.” Se non rabbino, la madre di Zacharie, affidando il figlio a vari precettori e dandogli rigidi insegnamenti, prova a farlo diventare degno erede di una morigerata e facoltosa famiglia ebrea: “I miei genitori, rientrati in patria dall’Inghilterra dove s’erano rifugiati a causa alle persecuzioni naziste, erano proprietari di un noto marchio legato al mondo della moda. Erano molto ricchi e la loro paura, comune a quella di molti altri ebrei, di essere spogliati degli averi – come tante volte era accaduto nel corso della nostra storia millenaria – li aveva spinti a investire quasi tutti i loro capitali in oro e diamanti e a camuffarli negli arredi di casa. La rubinetteria dei servizi e le maniglie delle porte erano in oro massiccio, i lampadari, apparentemente di vile cristallo, erano adornati di pietre preziose”. Ma fin da bambino, Zacharie esce dagli schemi – a dieci anni scappa di casa e si rifugia in una chiesa cattolica, il luogo che gli sembra più adatto a non essere trovato – e, più grande, la sua esistenza è un tourbillon di fatti, luoghi, attività diverse, con amori che gli sembrano assoluti e facilmente svaniscono.

Benito Apollo, giovane avvocato catanzarese, cultore di mistica ebraica, tratteggia in Apertura alla francese, edito da Pellegrini, un personaggio molto mobile, in una fuga perenne tra le capitali europee, Gerusalemme, il Medio Oriente, l’America: nullafacente, soldato, attaché di un consolato, quasi una spia, attraversato da un sogno infantile – diventare attore – che alla fine riesce, attraverso stranissimi percorsi, a realizzare: “Non mi sono lasciato ingannare dal modello di un’esistenza tranquilla, preferendo, invece, farmi travolgere dalla gioia che questo viaggio meraviglioso può donare. La mia è stata una vita piena di contraddizioni, di contrasti, affrontati con la consapevolezza che ogni cosa è necessaria quanto il suo contrario e che dalla loro lotta emerge sempre la verità, anche quando a prendere il sopravvento è il male. Ho imparato che solo giocando col tempo si riesce a non subirlo. E in questo altalenarsi di gioie e dolori, dove si insinuano il bene e il male, le scelte appaiono solo come strumenti messi al servizio del diritto a sbagliare. Ma non osiate mai sbagliare i tempi, è ragione di rimpianti, e non osiate mai fuggire dal tempo, è fautore di rimorsi. In ogni caso, non abbiate mai paura.”

Alla sua ultima recita, mentre aspetta che si alzi il sipario “alla francese”, Zacharie ripercorre la sua vita – in un monologo fortemente introspettivo, disincantato, talvolta cinico, che, nei ricordi offerti ad un pubblico immaginario, diventa una rivisitazione pacificata di tutte le contraddizioni vissute, l’equilibrio degli opposti di un processo di formazione in bilico tra le tradizioni del passato e i forti sommovimenti della seconda metà del Novecento: “Sono stato pietra, sono stato sale, sono stato pioggia di maggio e vento di maestrale. Sono stato acqua, sono stato terra, sono stato erba e aroma di cannella. Sono stato mosca, sono stato seta, sono stato frasca e ferro di moneta. Sono stato luce, sono stato fuoco, lupo famelico e misericordioso. Sono stato neve, sono stato agnello, sono stato seme e legno di vascello. Sono stato gioia, sono stato odore, sono stato strada e di suoni un sognatore. Sono stato freddo, sono stato bello, sono stato grido e lama di coltello. Sono stato oltre, sono stato in torto, sono stato vivo, sono stato morto.”

Benito Apollo Apertura alla francese, Pellegrini, pp.152, euro 14,25