Marcello Furriolo
Era il 1961 quando Umberto Eco scriveva uno storico pamphlet dal titolo “Fenomenologia
di Mike Bongiorno”. Il paese, uscito da una guerra nefasta aveva affrontato con grande
coraggio e intraprendenza una radicale ricostruzione economica e sociale. La RAI solo da
qualche anno aveva cominciato a diffondere i suoi programmi su tutto il territorio nazionale
attraverso un unico canale televisivo. Mike Bongiorno, il brillante ed empatico giornalista
italo americano, che aveva anche vissuto l’esperienza partigiana, era il vero e
incontrastato protagonista delle serate degli italiani, con le sue popolarissime trasmissioni
di quiz, importate dall’America, che catalizzavano l’interesse di un pubblico socialmente e
culturalmente trasversale, dalle Alpi all’Etna.
Umberto Eco, il grande professore di semiotica, la scienza che studia il linguaggio in tutte
le sue manifestazioni esteriori e che per primo doveva sdoganare nell’arte e nella cultura
espressioni come la letteratura popolare e i fumetti, non poteva non prendere in
considerazione un fenomeno collettivo come Mike Bongiorno e il suo impatto sul costume
degli italiani. Scrisse un’opera che è rimasta una pietra miliare anche all’interno del mondo
accademico e non solo tra gli addetti ai lavori della Filosofia del Linguaggio. Secondo Eco
Mike Bongiorno era la massima rappresentanza stereotipata dell’italiano medio in quel
preciso momento storico. L’uomo qualunque, interprete assoluto del conservatorismo
dilagante in larghissimi strati della società, espressione solo formale di un ossequio
mediocre alla cultura, dalla quale rimane totalmente distante, l’everyman, buono per tutti,
incapace di assumere posizioni scomode. L’archetipo del politically correct, beniamino dei
palati semplici degli italiani, che agognavano solo a possedere il frigorifero e possibilmente
la mitica 600.
Ora, dopo larghe previsioni di vittoria per Marco Mengoni, si sono spente le luci
scintillanti del 73 esimo Festival di Sanremo, che ha sbancato tutti i record di ascolto da
oltre 30 anni. Tenendo attaccati al televisore milioni di italiani, anche se ormai l’offerta dei
canali è infinita.
Amadeus, il presentatore e Direttore artistico della grande kermesse della canzone,
coadiuvato da un preziosissimo e sempreverde Gianni Morandi e da un ancora più
eclettico Fiorello, per molti versi richiama la trasversalità e l’empatia del “fenomeno” Mike
Bongiorno e ha messo in piedi uno spettacolo fuori dai canoni e delle aspettative del “suo”
pubblico tradizionale. Il grande successo di audiens non può spiegarsi solo con la
larghissima partecipazione di giovani cantanti, sconosciuti ai più ma capaci di convogliare
l’interesse di milioni di follower dei social.
Il Festival di Amadeus si è svolto in uno dei momenti più particolari della storia politica e
sociale del nostro Paese. La crisi economica dai risvolti poco rassicuranti, gli effetti di una
guerra assai logoranti non solo per le forze in campo, ma dalle conseguenze sempre più
inquietanti in un’Europa tutt’altro che unanime nel gravoso sostegno economico e militare
alla causa di Zelensky, mentre in Italia la politica non riesce a dare risposte chiare alla
crescente domanda di una giustizia giusta, al bisogno di garantire una autentica tutela dei
diritti fondamentali di dignità e libertà della persona umana, di debellare l’insopportabile e
dilagante violenza alle donne, di garantire la più inflessibile lotta ad ogni forma di mafia
senza violentare i principi costituzionali della presunzione d’innocenza e della funzione
della pena di recupero della persona, del rispetto assoluto di ogni libertà politica,
ideologica, religiosa e di genere, di salvaguardia del valore della memoria contro ogni
forma di genocidio. Tutto questo, nel momento in cui da poco più di cento giorni alla guida
del Governo gli italiani hanno scelto una coalizione di destra-centro con a capo Giorgia
Meloni, la prima donna della storia repubblicana, è entrato prepotentemente sul palco
fiorito di Sanremo e Amadeus è stato l’abile e furbo regista. Alla presenza del Capo dello
Stato.
I monologhi di Chiara Ferragni sulla violenza alle donne supportata dalla Presidente
calabrese dell’Associazione Dire Antonella Veltri, il provocatorio riferimento di Francesca
Fagnani al Procuratore Gratteri e alla disumana condizione delle carceri, il discutibile
accenno di Paola Egonu al razzismo degli italiani, il delicato e struggente discorso di
Chiara Francini sul bisogno di maternità della donna, il messaggio pirata degli Art. 31 a
Giorgia Meloni sulla legalizzazione della cannabis, il ridimensionato messaggio notturno di
Zelensky per interposta persona hanno aperto nel paese un inusuale spaccato politico e
sociale, colmando il vuoto che i partiti e il Governo hanno lasciato in questi ultimi tempi.
Peccato che la destra e, sopratutto il Premier Meloni non si stiano rendendo conto che il
paese è molto cambiato. Sono cambiati i suoi bisogni e i suoi riferimenti culturali. L’Italia di
oggi non è quella di Mike Bongiorno e di Lascia o raddoppia e reclama il deciso
superamento del conservatorismo ideologico e politico. E l’errore più grosso che la destra
di Meloni può fare è ritenere che questa domanda di cambiamento, entrata in modo
dirompente sul palcoscenico di Sanremo e irradiata dagli schermi nelle case degli italiani,
appartenga ad una strategia della sinistra. Una giovane politica accorta come Giorgia
Meloni rischia non solo di perdere il raccordo con la parte più consolidata della cultura e
della storia politica occidentale in Europa, ma di fatto regala ossigeno e insperato
protagonismo ad una sinistra e ad un PD, in cui la stragrande maggioranza della società
italiana ha decisamente smesso di riconoscersi.
I veri pericoli per il Paese non vengono da Amadeus e dal Festival della canzone di
Sanremo, ma dalla mancanza di coraggio e di lucidità di una destra che continua a non
cogliere l’ansia di modernizzazione, di cambiamento e di una nuova stagione dei diritti e di
lotta alle disuguaglianze, che è stata manifestata liberamente nei monologhi e nelle
canzoni di Sanremo.
Ma tutto questo appartiene, per ora, solo alla fenomenologia di Amadeus. La politica e l’arte del Governo dovrebbero essere un’altra cosa.