INTERVENTI. Il «fascismo atlantico» di Luciano Canfora come nuova categoria storica

INTERVENTI. Il «fascismo atlantico» di Luciano Canfora come nuova categoria storica

Il fascismo, nella sua ormai ultrasecolare esistenza, è stato oggetto di una grande quantità di definizioni; alcune, dovute agli intelletti più lungimiranti, nascevano dalla pratica della violenza che sin dall’inizio fu la cifra fondamentale delle organizzazioni fasciste.

Merita menzione Piero Gobetti che, dopo aver definito il ministero Mussolini «un fatto di ordinaria amministrazione», nell’articolo Elogio della ghigliottina («La rivoluzione liberale», Anno 1, n. 34, 23 novembre 1922), ha scritto: «Il fascismo è stato qualcosa in più: è stato l’autobiografia della nazione».

Altrettanto significativa la definizione di «fascismo eterno» o «Ur-Fascismo» di Umberto Eco che, in una lezione alla Columbia University del 25 aprile 1995, dopo aver esposto molteplici fattori identificativi del movimento mussoliniano e dopo l’omaggio oltremodo rituale al pulpito da cui predicava a mezzo di citazioni rooseveltiane, così concludeva: «L’Ur-fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilinoancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme - ogni giorno, in ogni parte del mondo».

Le categorie storiografiche, tali sono quelle di Gobetti o Eco su cui ci siamo appena soffermati, hanno una utilità ermeneutica: quella del primo, ad esempio, può servire a indagare e interpretare le forme determinate della continuità tra lo stato monarchico piemontese e il fascismo e tra questo e la storia dell’Italia repubblicana.

Molto originale, se non interamente nuova, è, almeno per il recensore, la categoria di «fascismo atlantico» che informalmente emerge dall’ultimo libro di Luciano Canfora Il fascismo non è mai morto (Bari, Edizioni Dedalo gennaio 2024). Con il «fascismo atlantico» l’autore fa riferimento alle simpatie di cui godette il movimento mussoliniano, sin dalle origini, presso le classi dirigenti di Regno Unito (Churchill in primis) e Stati Uniti, dove il Duce godeva di «schiacciante popolarità» «… ricavabile dalle inchieste giornalistiche degli anni ‘;30 (con imbarazzante distacco nei confronti di Hitler) … » (p. 48).

Naturalmente tali simpatie si interruppero nel corso della II Guerra Mondiale per riprendere nel corso degli ultimi due anni del flagello, quando le armate alleate che stavano serrando la stretta attorno agli eserciti dell’Asse, cominciarono a preoccuparsi per il ruolo che i partigiani socialcomunisti avevano assunto all’interno dei movimenti di liberazione europei.

Dopo la fine delle ostilità la politica estera perseguita da americani ed inglesi fu improntata a recuperare alla causa transatlantica e anticomunista i sopravvissuti dei regimi fascisti; sì, perché la tabe dell’anticomunismo sostanziò gli sviluppi della NATO lungo tutto il Novecento; in Italia per frenare l’ascesa al potere del più forte partito comunista dell’Occidente e in Germania per fronteggiare la pressione l’esercito sovietico.

E nel nuovo millennio, caduto ormai il timore del comunismo per l’autodistruzione gorbacioviana ed eltsiniana, riprese a funzionare come collante della nuova santa alleanza tra le due sponde dell’Atlantico uno dei caratteri originari del fascismo euroamericano: il nuovo «suprematismo bianco» che si incarnò nelle politiche antimigratorie: «Che tale lotta contro i migranti provenienti dai mondi ex-coloniali abbia al fondamento una sorta di ripugnanza razzistica si può arguire dall’automatismo entusiastico con cui, nel 2022 e 2023, sono stati invece assorbiti, integrati e sostenuti una decina (pare) di milioni di migranti ucraini nel giro di appena una ventina di mesi … altre fonti parlano di sei milioni: cifre comunque incomparabilmente superiori a quelle degli sventurati il cui sopraggiungere doloroso suscita isteria, allarme e ‘decreti sicurezza’ (pp. 19-20).

Questo incistarsi del vecchio fascismo nel neofascismo antimigratorio avviene con la benevolenza dell’«informazione giornalistica, senza mai togliere lo sguardo da chi impugna il timone così come il maomettano, nella preghiera, non distoglie mai lo sguardo dalla Mecca» (p. 66).

Torniamo per qualche rigo sul «fascismo atlantico» come categoria storiografica: in base ad esso, dunque, lo sguardo sui fascismi può diventare universale coprendo Vecchio e Nuovo Continente (suprematismo bianco»), metropoli e colonie (ideologia antimigratoria), subordinazione europea agli USA dopo la II Guerra mondiale (anticomunismo della NATO), subordinazione alle scelte della politica estera americana ad inizio di nuovo millennio: da qui potrebbe venire una guerra atomica combattuta in Europa tra Russia e satelliti americani, molti dei quali sono, o saranno da qui a qualche anno, governati da ministeri fascisti o neofascisti senza che nessun periodista «democratico» (a parole lo sono tutti) arricci il naso nemmeno per uno starnuto.

E la sinistra? Sentiamo Canfora: «La ‘sinistra’ dopo essersi dotata di un fantasma ideologico-geografico (l’europeismo’) si è rivelata inadeguata di fronte ai problemi più assillanti del tempo presente: le crescenti disuguaglianze (…) nonché la grande migrazione che, dai mondi sofferenti, muove verso le aree ricche del pianeta». (p. 79)