I BRONZI. Zitti, da Reggio va in onda la bellezza. “Chisti simu” … ma questi potremmo essere

I BRONZI. Zitti, da Reggio va in onda la bellezza. “Chisti simu” … ma questi potremmo essere

Statua A      di ANTONIO CALABRÒ - Sin dall’inizio dello speciale televisivo “Ulisse” dedicato ai Bronzi di Riace il calabrese ha gonfiato il petto, si è imbaldanzito sulla poltrona, imbambolato in un sorriso orgoglioso e non ne ha mollato la visione sino all’ultimo secondo, felice, soddisfatto, gioioso.

Finalmente in televisione non si è parlato di noi per i soliti truculenti fattacci di ‘ndrangheta, di corruzione, di violenza, di malasanità, di scandali, porcherie o gastronomia piccante; si è parlato dei Bronzi.

Lo splendore delle due opere, spiegate con dovizia di particolari, ci ha reso felici.

I riccioli innestati successivamente. Le labbra di rame. La dentatura d’argento. Le tecniche raffinate per l’equilibrio. Gli interventi illuminanti di Paola Donati, di Salvatore Settis, di Giorgio Schepis, le speranze del ministro Massimo Bray, tutto giungeva alle orecchie del calabrese come un eco a contorno della visione delle due statue finalmente alzate, dopo anni di restauro, tornate verticali a svettare sulla nostra storia, sulla nostra appartenenza, sulla comunità intera.

Le ombre, sempre lievi e pacate nel pieno stile della rassicurante trasmissione, sono arrivate: dove sono finiti la lancia e lo scudo ? E si trattava solo di due statue, oppure, come indicato nel verbale di denuncia dello scopritore dell’epoca il subacqueo dilettante Mariottini, si trattava di un “gruppo” di statue ? Attenzione: quando ci sono calabresi in mezzo, tutto è possibile. Lo sappiamo, lo sappiamo, pensava l’imbambolato spettatore.

E allora se tutto è possibile perché non si è ipotizzato che in realtà le statue non provenissero dalla Grecia con destinazione qualche villa italica bensì seguissero il percorso inverso ? Che non fossero state costruite ad Argo, o a Delfi o ad Atene come sosteneva la tv, ma che fossero state in realtà costruite a Reggio dai nostri artisti per essere poi spedite alla madre patria attraverso la rotta consueta e poi, dalle parti di Riace, incontrando uno Jonio in tempesta come quello di questi giorni, siano affondate con l’intera nave per giungere a noi come simulacri della nostra antica grandezza ? Ipotesi per ipotesi, perché non questa ? Perché è la televisione, bellezza, e perché noi siamo la Calabria.

Ma io non sono uno storico, e neanche un archeologo, sono solo un povero sognatore ignorante collegato al mio passato in virtù di una catena genetica, e posso permettermi di sparare le mie idiozie sognanti senza paura di bruciarmi cariche e titoli e rischiare sovrintendenze e poltrone: caro calabrese, eri felice davanti al tuo televisore che splendeva di bellezza mostrando le nostre statue perché quei Bronzi, quei due giganti inquietanti, quelle due armoniose evocazioni di perfezione, quelle due supreme intuizioni, sono nostre, ci appartengono di diritto, racchiudono i nostri secoli, le nostre lacrime, la nostra creatività, e il nostro diritto a confidare nell’Ananke, nella necessità di armonia, questo bisogno feroce che tutto spiega e giustifica.

E così comprendiamo la felicità inebetita del calabrese finalmente rappresentato in televisione per ciò che potrebbe essere, e che non è. E la sua “mancanza”, la disarmonia cronica, il desiderio formidabile di bellezza, ed il retaggio di un mondo passato ma che ancora sopravvive, nei geni, nelle illusioni, nelle speranze, trovano rifugio e conforto in quello sguardo vivo dei guerrieri di bronzo, e ne vorresti altri, tanti altri ancora, bronzi di Riace ed opere simili in ogni casa e in ogni piazza e in ogni incrocio, e tornare alla bellezza o a quel sogno di bellezza che la Grecia antica evoca in noi.

Per questo quando esce la notizia cialtrona del ritrovamento del terzo bronzo si diffonde spedita sul web con ingenuità bestiale. Perché una cosa del genere sarebbe motivo di gioia, e la gioia, si sa, abbaglia anche i più scettici. E questa gioia è quella della rivalsa, dell’orgoglio, della felicità di appartenere; ed è un sentimento troppo spesso calpestato, dimenticato, violentato.

Grazie Alberto Angela, grazie RAI, grazie scienziati e studiosi che vi siete prodigati per ridare vigore al nostro sogno incarnato in due statue di bronzo, prodigi dell’arte e delle umane abilità. Grazie a tutti per averci ricordato la nostra discendenza più autentica, quella che più ci fa sognare e ci rende felici.

Perché, come sosteneva lo storico inglese Maine “salvo le cieche forze della natura, tutto ciò che nella vita dell’umanità evolve è di origine greca”. Ne siamo certi, è proprio ciò di cui abbiamo bisogno, è la volontà del destino che si deve compiere, è la nostra storia che deve ripartire.

E può ripartire con i due guerrieri di bronzo alle spalle, bellissimi e imperiosi come numi tutelari, simulacri di divinità benigne e ispiratori d’armonia.

Sono di Reggio, e Reggio è la loro.

Antonio Calabrò