Bankitalia: La Calabria più disuguale. Una strategia per i deboli

Bankitalia: La Calabria più disuguale. Una strategia per i deboli
milani L'analisi anche dell'ultimo rapporto annuale sull'economia della Calabria, dal quale emerge che dopo 7 anni di crisi non c’è stata ancora alcuna ripresa significativa in grado di ridurre in modo drastico l’enorme numero di persone in cerca di occupazione o in stato di povertà, impone una riflessione sulle politiche economiche e sociali finora adottate.

Nel 2015, nonostante una ripresa ancora debole in Italia, il tasso di disoccupazione in Calabria è ancora pari al 22,9%, il tasso di occupazione al 38,9 % e gli occupati sono diminuiti dell'1,4%. Le persone a rischio povertà sono il 32,4% e quelle già in stato di deprivazione materiale sono pari al 15,6%.

Dietro le fredde statistiche della Banca d'Italia ci sono delle persone spesso in stato di disagio estremo che non possono essere abbandonate al loro destino. Non si può certo accettare la tesi anche di un autorevole esponente politico che qualche anno fa, in piena crisi greca, ha dichiarato che un certo numero di morti o di suicidi dovuti alla crisi economica e alle politiche di austerità è fisiologico.

Sicuramente l’obiettivo prioritario è quello di rilanciare l’economia e il sistema delle imprese, favorire le esportazioni, l'innovazione, attrarre investimenti e flussi turistici, rilanciare settori in crisi come quello delle costruzioni, creare nuove imprese innovative e nuovi posti di lavoro, anche perché l’alternativa è il default dell’intero sistema e l’impoverimento generale.

E per riuscire in questo obiettivo c'è necessità di maggiore attenzione ai temi dello sviluppo e di una classe dirigente onesta, ma anche competente ed affidabile.

Contemporaneamente ritengo vada rivalutata però l’introduzione di un reddito minimo, come avviene d’altra parte già in quasi tutta Europa. Ciò almeno per un periodo temporaneo e nelle aree più deboli, se non altro fin quando il sistema economico non riuscirà ad assorbire un elevato numero di nuovi occupati.

E’ da sottolineare che una parte di cittadini che lavorano ad esempio nella pubblica amministrazione come dipendenti o collaboratori/consulenti o fanno parte del sistema politico istituzionale, in alcuni casi con stipendi elevati, hanno meno risentito della crisi. Godono infatti di maggiori garanzie e tutele rispetto a chi lavora nel settore privato come dipendente o come autonomo/professionista, a chi è costretto a vivere con una pensione minima o è addirittura in cerca di occupazione.

Si sostiene che non ci sia la copertura finanziaria per un reddito minimo per garantire almeno la sopravvivenza delle persone più in difficoltà.

Credo però che si possa fare un ulteriore sforzo per ricercare questi fondi.

Ad esempio si potrebbero destinare gli 80 euro prioritariamente a chi è in stato di povertà e non viceversa.

Si potrebbe, inoltre, tentare di ridurre ulteriormente soprattutto le spese di esercizio della pubblica amministrazione, cercando di destinare una parte delle risorse alle persone più in difficoltà, obbligandole magari a lavori socialmente utili.

D’altra parte l'analisi solo dei bilanci 2014 delle regioni in Italia, pubblicati di recente dall'Istat, fa emergere che i costi di esercizio sono assorbiti in gran parte da ASL spesso inefficienti. Inoltre le Regioni permettono di tenere anche in vita strutture regionalizzate, provincializzate o municipalizzate a volte di dubbia utilità ed efficienza e spendono notevoli risorse per servizi per organi istituzionali, per personale e per collaborazioni/consulenze, senza riuscire a fornire a volte servizi efficienti e ad effettuare investimenti. Ciò fa pensare che una riorganizzazione e ristrutturazione della spesa pubblica sia possibile e doverosa non solo nelle Regioni, ma in tutta la pubblica amministrazione centrale e periferica.

Inoltre almeno una quota maggiore di grandi fondi per investimenti gestiti da strutture pubbliche, spesso non in grado nemmeno di spenderli, potrebbe probabilmente essere destinata direttamente, in base a criteri oggettivi e non discrezionali, ai cittadini più in difficoltà, anche per la loro riqualificazione o per lavori di utilità sociale.

E’ certo però che non potrà reggere a lungo un sistema democratico iniquo, dove convivono varie caste di privilegiati che godono già di un reddito garantito a vita o di stipendi/pensioni d'oro e cittadini senza alcuna protezione, che non riescono ad entrare o sono espulsi dal mercato privato del lavoro e che a volte sono costretti a rinunciare persino a curarsi.

Ciò d'altra parte comporta per lo Stato maggiori spese per contrastare la devianza sociale, le varie mafie, le malattie, ecc.

Andrebbero pertanto calcolati i benefici netti dell’introduzione di un eventuale reddito minimo o in ogni caso di un sistema sociale più equo, inserendo nel calcolo costi/benefici anche l'enorme valore di molte vite umane che si potrebbero salvare.