Ma procediamo con ordine. Prima notizia: al Nord la lunghezza della vita cresce mentre al sud e in Calabria diminuisce. Seconda notizia: non è stato sempre così: per un periodo lungo l’aspettativa e la lunghezza della vita a Sud sono cresciute, ora si registra un’inversione che c’ha fatto perdere per intero tutto quello che avevano guadagnato in lunghezza della vita. Non abbiano solo smesso di crescere, abbiamo iniziato a regredire. Terza notizia: le donne che in Lombardia si ammalano di tumore al seno sono in proporzione decisamente più di quelle che si ammalano in Calabria. Ma il tasso di mortalità per tumore al seno è più alto in Calabria che in Lombardia.
Colpa del Commissariamento della sanità e della mancata attribuzione della carica di Commissario al presidente della Regione Calabria? Neanche per sogno. Il trend di peggioramento nella nostra regione e nel Sud data 2001, quando avevamo già sulle spalle 31 anni di esperienza regionale. Ricostruiamo il fenomeno: a partire dalla fine della seconda guerra mondiale l’aspettativa di vita ha guadagnato in tutta Italia due mesi ogni anno e siccome il dato di partenza era più alto al Sud (una volta stroncate mortalità infantile e infezioni) la prospettiva di vita era superiore rispetto al Nord. Ma a partire dal 2001 la tendenza s’è invertita.
Sono quindi responsabili Chiaravalloti, Loiero, Scopelliti e Oliverio? Sì e no, e in ogni caso non ci sono loro specifiche responsabilità se non quella di avere accettato la soluzione del 2001. La responsabilità fondamentale, risponde il presidente dell’ISS (che è il braccio tecnico-scientifico del sistema sanitario nazionale con l’incarico di ricerca, sperimentazione, controllo, consulenza e documentazione) è di carattere strutturale, cioè del cattivo regionalismo che ha rigettato indietro il Sud spalancando le porte a un regionalismo in cui lo Stato ha rinunciato a riequilibrare i territori e in cui le Regioni più forti non hanno trovato più freno alcuno ai propri egoismi. Così, in Campania e Sicilia si vive quanto in Bulgaria e Romania; nelle Marche e in Trentino quanto in Svezia. A Trento e nelle Marche la vita è più lunga di 4 anni rispetto a Sicilia e Campania. Ricciardi con Iacona a Presa diretta si è sbilanciato fino a dire che, al momento, se anche lo Stato volesse intervenire nelle regioni meridionali in difficoltà non potrebbe a causa della delega dello Stato alle Regioni fissata nella Costituzione (che i meridionali hanno difeso a spada tratta nello scorso referendum con pervicacia e istinto suicida).
L’esempio della morte per tumore al seno spiega (tragicamente) bene quel che è successo. Condizioni ambientali e storiche fanno sì che in Calabria si ammalino meno donne che in Lombardia. Ma mentre in quella regione lo screening per la prevenzione copre praticamente l’intera popolazione femminile in Calabria siamo ancora a un miserabile 25/30 per cento. Conclusione: da noi ci si ammala di meno ma si muore di più rispetto alla Lombardia.
Al centro del disastro c’è quella che gli esperti chiamano “la morte evitabile” dovuta a malattie che individuate e scoperte in tempo vengono sconfitte. La morte evitabile viene combattuta con decisione al Nord e resta libera di uccidere al Sud.
Alla luce di questi dati anche la battaglia per una gestione diretta del Commissariamento in Calabria sembra inadeguata rispetto al problema. Potrebbe la Calabria da sola ovviare a questi disastrosi inconvenienti? Pare evidente che non sia possibile. Certo, forse si potrebbe fare qualcosina di meglio. Un po’ di risparmi, qualche attenzione in più sul tradizionale, magari un po’ di clientelismo in meno e un po’ di largo al merito. Tutte cose non disprezzabili che non si possono sottovalutare. Ma il meccanismo che spinge a una regressione dell’aspettativa di vita non può essere invertito se non pretendendo e assicurando uno sforzo omogeneo in tutto il paese. Non siamo di fronte a un problema di gestione ma a un problema di struttura. Non servono modifiche tecniche ma un grande progetto politico e ideale sul diritto uguale alla vita. E’ su questo punto che serve una riflessione nuova che spazzi le difficoltà fin qui registrate.
In questo quadro la battaglia per assicurare una gestione calabrese del Commissariamento della sanità è oltre che inadeguata insufficiente. Non dobbiamo rinunciare, né possiamo accettare che si continui a rinviare il momento in cui porre il problema del diritto alla salute e del diritto alla vita dei meridionali in tutta la sua drammatica e urgente ampiezza.