UNO. Più ci s’avvicina al voto di domenica più diventa chiaro che il 25 settembre sarà la prova della verità sul tasso di europeismo del nostro paese. La politica estera ha sempre avuto peso e ruolo alti nello scontro elettorale italiano. Ma non era mai accaduto che il suo rilievo fosse decisamente preponderante rispetto a tutto il resto. La verità è che, domenica prossima, voteremo ancor prima che per eleggere il parlamento italiano, per decidere se consideriamo più importante la sovranità del nostro paese o la costruzione democratica della sovranità europea. Insomma, domenica verificheremo la nostra capacità e voglia di essere attore tra i principali del film che in un futuro, non immediato ma neanche lontanissimo, dovrebbe concludersi con gli Stati Uniti d’Europa.
E’ in questo quadro che Mario Draghi, premier dimissionario ed europeista convinto, continua a svolgere sempre più energicamente interventi politici che spingono l’Italia verso questo obiettivo, come per contrastare quelle parti della politica italiana che si aggrappano invece sempre di più ad una sovranità nazionale contrapposta e primeggiante sulle decisioni europee. Insomma, quelli che vogliono l’Europa delle Patrie autonome e indipendenti invece di uno Stato democratico europeo.
Per questo, davanti all’assemblea generale dell’Onu, fresco del riconoscimento del “migliore statista mondiale dell’anno”, che ha ricevuto lunedì scorso, Draghi si è preoccupato di spiegare che “anche nei prossimi anni l’Italia continuerà a essere protagonista della vita europea, vicina agli alleati della Nato, aperta all’ascolto e al dialogo”. Frase strategica che sembra contenere l’elenco dei compiti da svolgere assegnati alla Meloni, a Salvini e a Conte, oltre a tutto il resto della politica italiana; perché la tentazione nazionalista-sovranista contrapposta alla dimensione europeista, nell’Italia elettorale, investe insieme e contemporaneamente pezzi del mondo di centrodestra e di centrosinistra.
Ma proprio mentre il dimissionario presidente del Consiglio italiano, si preoccupa all’estero di far crescere la credibilità e l’autorevolezza dell’Italia e del suo ceto politico e si sforza di accreditarlo collocandolo con sempre più nettezza tra i costruttori dell’Europa, la Lega di Salvini a Roma organizza un blitz in Senato per far saltare irrevocabilmente la riforma delle tasse a cui il governo Draghi ha lavorato per quasi due anni con l’obiettivo della revisione di aliquote Irpef, Catasto e Irap.
Ma non si tratta solo di questo. Draghi ha molto insistito con ripetuti interventi sull’affidabilità delle forze politiche presenti nel Parlamento italiano, senza eccezione alcuna. Molti hanno interpretato il suo gesto come una prestigiosa assicurazione a tutta l’Eu a favore di un possibile governo di centrodestra presieduto da Giorgia Meloni. Ma la leader di FdI, preoccupata dalla possibile perdita di voti al Sud per la crescita in quella parte dell’Italia dei 5s, s’è immediatamente schierata a favore di Orban, colpito da censure di un’ampia maggioranza dei paesi europei. Ha teorizzato che Orban è stato votato ed eletto dalla maggioranza dei cittadini di quel paese. Ma ha dimenticato di aggiungere che le elezioni si sono svolte in un clima di censura massiccia della stampa e di gravi limitazioni della libertà per tutti i cittadini di quel paese. Il voto va sempre rispettato. Ma se si svolge in un quadro di limitazioni non è più lo strumento della democrazia ma la giustificazione dell’arbitrio.
Anche i 5s di Conte, pezzo decisivo del centrosinistra, è ripetutamente entrato in conflitto con Draghi. La sensazione è che l’ultimo leader dei pentastellati si sia sempre percepito come scippato dall’incarico che Mattarella affidò a Draghi dopo che un altro 5s, il presidente della Camera dei deputati, aveva informato Mattarella dell’impossibilità di dar vita a una qualsiasi maggioranza parlamentare che, invece, Draghi riuscì a costruire nel mezzo della tempesta terribile del coronavirus (quando peraltro sarebbe stato impossibile votare senza provocare un massacro). Ma i 5s si sono sfilati dalla maggioranza che reggeva il governo Draghi quando hanno capito che la permanenza in/di quel governo gli avrebbe impedito di rilanciare un’ondata populista, soprattutto al Sud che avrebbe consentito il recupero elettorale pentastellato (che in effetti ora viene dato per certo).
Domenica in un quadro di libertà reale gli italiani decideranno chi dovrà governarli. La confusione è alta. Il centrodestra viene dato vincente. Si presenta unito ma carico di divisioni che potrebbero farlo esplodere impedendogli di governare. Il centrosinistra è frantumato al proprio interno e pochissimi credono alla possibilità di una sua resurrezione. Le due aree, dal punto di vista del consenso non sono lontanissime. La legge elettorale è il peggio che la Repubblica ha conosciuto dalla sua fondazione. Molti analisti (ancora ieri l’altro il professor D’Alimonte sul Sole24) non escludono che possa capitare che non vi sia nessun vincitore.
DUE. Comunque andranno le cose è tutt’altro che improbabile che Mario Draghi abbia ancora ruolo e funzione decisivi per aiutare il paese.
*già pubblicato sul Dubbio