L'ANALISI. PD, le primarie e il rischio di perdere i riformisti

L'ANALISI. PD, le primarie e il rischio di perdere i riformisti

UNO. Se in Italia nello spazio di pochi mesi una donna, Giorgia Meloni, diventa presidente del Consiglio e un’altra donna, Elly Schlein, diventa leader del più forte partito d’opposizione, è probabile che sia arrivato a maturazione nella società un processo o qualcosa d’importante sottovalutato e non avvertito dai politologi né dagli analisti sociali. Un anno fa nessuno avrebbe scommesso non un euro ma una sola lira su uno scenario come quello attuale del nostro paese con due donne collocate in caselle strategiche, la direzione del governo e la direzione della maggiore forza d’opposizione, mai in precedenza occupate da una donna nell’intera storia d’Italia. Non a caso tutti i grandi quotidiani, usciti poche ore dopo le primarie del Pd che avevano incoronato la Schlein, grondavano stupore e incredulità, perfino ammettendo di avere sbagliato previsioni (un riconoscimento che i giornali non ammettono mai volentieri). Lo scenario suggerisce l’ipotesi che siano intervenute nel paese trasformazioni profonde delle quali si stenta ancora di prendere atto. Si tratta di cambiamenti positivi che segnalano una consistente caduta dei pregiudizi fondati sulla supremazia del maschio nei confronti delle femmine (i pregiudizi espliciti e quelli inconsapevoli). In molti faranno fatica a rendersene conto, ma è così. Bisognerà comunque fare i conti con tutto questo perché la storia quando gira pagina non ha più la capacità né la possibilità di tornare indietro. Insomma, Meloni e Schlein rivelano un paese molto diverso e molto più complesso da quello che molti, anche tra gli analisti, continuano a immaginare.

DUE. Paradossalmente questo elemento positivo ha creato problemi molto gravi al Pd che per eleggere il proprio nuovo segretario ha costruito un meccanismo, lungo farraginoso e confuso, che ha finito col contrapporre gli iscritti e militanti del Pd, attualmente il più forte partito riformista del paese, con il più largo popolo di simpatizzanti, elettori, e altre componenti dell’intera sinistra italiana, talvolta perfino contrari alla strategia politica del Pd. Per questo è accaduto che il popolo degli iscritti, quelli che in passato si chiamavano “militanti”, che ha tenuto in piedi quel partito garantendolo come seconda forza politica del paese, è stato sconfitto e smentito da un elettorato molto più ampio e numeroso: il popolo dell’intera sinistra (e forse non solo) al cui interno convivono strategie tra loro diverse, spesso molto diverse e conflittuali. Questa contraddizione, sul cui rischio il nostro giornale in solitudine aveva nei giorni scorsi lanciato l’allarme (Primarie aperte, rito insensato,  23/2/23), rischia ora d’innescare processi che potrebbero indebolire, o addirittura mettere in discussione quel partito a partire dalla sua componente centrale, quella riformista.

La Schlein, e con grande lealtà non ne ha mai fatto mistero, s’è iscritta da poche settimane al Pd. Certo, col progetto di rinvigorirlo e rilanciarlo puntando su una radicalità che va molto oltre il processo che aveva unificato le spinte riformatrici di parte dei postcomunisti con le componenti democratiche del mondo cattolico e laico confluite nel grande progetto della stagione dell’Ulivo. La sua prima dichiarazione, quasi una battuta, racconta le difficoltà che si aprono per il Pd: «Anche stavolta - ha detto divertita la Schlein riecheggiando un verso di Pasolini - non ci hanno visto arrivare». Come dire? Non sanno quel che con noi li aspetta altrimenti ci avrebbero bloccato. Che oltre che una divertente accusa di distrazione al Pd che s’è fatto scalare, rivela le intenzioni della nuova leader Pd, per cambiamenti politici profondi di quel partito che se avvertiti, o “avvistati”, avrebbero potuto far scattare contromisure.

Sui problemi decisivi sociali, a partire da quelli del lavoro, non pare ci siano molte differenze. Del resto, gli stessi Pd che hanno lavorato a favorire il successo della Schlein, da Boccia a Franceschini, hanno orientamenti politici di fondo in non radicale dissenso da quelli di Letta. Ma il problema vero, ora, è capire le intenzioni della nuova leader su altro. A partire dalla questione dirimente e centrale della guerra in Ucraina. Letta sull’argomento ha tenuto fin dall’inizio, e da subito con saldezza, la linea avviata da Draghi e Mattarella, in crescente contrasto coi 5s. Sarà così ancora su questo argomento decisivo già costato inevitabilmente un progressivo allontanamento tra i 5s di Conte e il Pd? E ancora, la radicalità della Schlein che rischia di emarginare il riformismo che è stato il punto forte della tenuta elettorale del Pd fino ad ora, aprirà nuovi spazi politici al terzo polo di Renzi e Calenda?

Si capirà presto dalle nuove scelte e dai cambiamenti che la Schlein fa capire di voler fare.

*questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio mattina sul Dubbio.