Col passare delle ore appare sempre più chiaro che l’intervento svolto da Mario Draghi nella notte tra il 7 e l’8 a Boston - dove il nostro (purtroppo) ex presidente del Consiglio è stato premiato col Miriam Ponzer Award - è destinato a cambiare e modificare i termini del dibattito politico in Italia, in Europa e (forse) non solo.
Draghi, infatti, non s’è limitato ad aggiornare un po’ di giudizi e valutazioni su quando sta avvenendo. S’è preoccupato, invece, di avvertirci e spiegare che gli avvenimenti che si stanno svolgendo e si sono già consumati nel mondo, ci hanno sospinti con forza dentro una fase storica diversa rispetto quella degli ultimi due o tre decenni.
In estrema sintesi: con la crisi della globalizzazione i vecchi meccanismi si sono spezzati. Stati, Nazioni, aree geografiche – nell’analisi di Draghi - sono passati da un’epoca fondata sulla “competizione” a un’epoca fondata sul “conflitto”. Facile dedurre che lo spostamento dalla competizione al conflitto cambi radicalmente l’intero scenario in cui si svolgono gli avvenimenti del mondo. Grandi nazioni e intere aree geografiche sono già dentro, secondo il ragionamento proposto dall’ex presidente del Consiglio, questa diversa e cruciale fase storica in cui “hanno dominato le relazioni internazionali e l’economia globale nell’ultimo anno e mezzo: la guerra in Ucraina e il ritorno dell’inflazione».
Parte da lontano, quindi, l’analisi di Draghi, che avverte: “Supponevamo che le istituzioni che avevamo costruito, insieme ai legami economici e commerciali, sarebbero state sufficienti per prevenire una nuova guerra di aggressione in Europa. E credevamo che le banche centrali indipendenti avessero padroneggiato la capacità di limitare le aspettative di inflazione, al punto da temere una stagnazione secolare”.
Ma non è andata così e per questo siamo scivolati, aggiunge l’ex governatore della Banca europea, “dalla competizione al conflitto”. Quindi, saremmo di fronte a una modifica radicale dell’intero contesto in cui si svolgono e si accartocciano gli avvenimenti del mondo. Né è escluso, è l’avvertimento di Draghi, si possa giungere a “tassi di crescita potenziali più bassi” che potrebbero imporre politiche “che portino a deficit di bilancio e tassi di interesse più elevati”.
L’ottimismo innescato dalla globalizzazione e il convincimento che essa avrebbe provocato una diffusione di democrazia e liberalismo, vedi le teorie sulla fine della storia, non hanno retto. Draghi mette in evidenza e lancia un allarme molto marcato sull’Europa e il suo futuro. Aggressione all’Ucraina e ritorno all’inflazione, nella sua analisi, sono il costo e soprattutto la conseguenza di questo cambiamento globale.
Insomma, Kiev deve vincere la guerra o per l’Ue sarà un colpo fatale. Draghi spiega la necessità di questi orientamenti e il bisogno di un nuovo fronte dell’europeismo. Scandisce: “I valori esistenziali dell’Unione europea sono la pace, la libertà e il rispetto della sovranità democratica ed è per questo che non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati ad assicurare che l’Ucraina vinca questa guerra. E dopo aver parlato di Stati Uniti d’Europa aggiunge che solo “un cambiamento di politica interna a Mosca” modificherebbe il quadro “ma non vi è alcun segno che un tale cambiamento si verificherà”. Per questo “l’Ue deve essere disposta a rafforzare le proprie capacità di difesa”. “E’ essenziale per aiutare l’Ucraina per tutto il tempo necessario e per fornire una deterrenza significativa contro la Russia». Ma è soprattutto strategico e necessario, questo pare il senso dell’intervento di Draghi che, più di una spiegazione sulla situazione attuale sembra voler spingere verso una strategia di rafforzamento dell’Europa.
*già pubblicato sul Dubbio.