decennio. In genere il percorso si accelera ogniqualvolta dei leader politici andati al governo sull’onda di proposte mirabolanti si accorgono di non poterle minimamente realizzare e spostano sulle riforme istituzionali quell’ambizione personale di segnare a qualunque costo la storia d’Italia.
Si passa così, nel giro di poco tempo e con un’invidiabile disinvoltura, dal populismo sociale al populismo istituzionale. Ad autoassegnarsi il ruolo di parente stretto del premierato è nei fatti la riforma proposta dalla Lega di
Salvini sull’Autonomia differenziata (tra regioni e regioni) che dovrebbe nei prossimi giorni approdare nell’aula del Senato.
Dunque, queste due riforme apparterrebbero alla stessa famiglia “riformatrice” secondo i pareri e i comportamenti dei due leader dell’attuale governo. Infatti, avranno un contemporaneo iter parlamentare (anche se quella sul premierato dovrà passare, com’è noto, per un referendum) e i proponenti si marcheranno a vicenda. Sul piano politico è indubbio che le due proposte sono, in questo momento, strettamente interconnesse e rappresentano l’identità bicefala della destra italiana.
Cosa hanno in comune il sovranismo da premierato (Meloni) e il sovranismo localista (Salvini-Calderoli)? Niente di niente, è la risposta più ovvia. Anzi sono nei fatti due visioni antagoniste del futuro dell’Italia. Ogni persona di buon senso, prima che qualsiasi costituzionalista, comprende bene che far marciare insieme le due proposte è quanto di più scombinato si potesse mai immaginare nella cultura politica della destra italiana. Come convivranno un premier che vuole identificarsi con il potere centrale con delle regioni che vogliono assurgere nella sostanza a Stati autonomi, minando il principio di unica nazione? Come potrebbe rappresentare meglio la nazione un Presidente eletto con voto popolare mentre si incrina ulteriormente la struttura unitaria dello Stato? Insomma, le due proposte non fanno parte della stessa famiglia, non sono parenti, ma convivono nello stesso governo per ragioni che niente hanno a che fare con un pensiero politico-istituzionale unico e coerente.
L’autonomia differenziata rappresenta lo sfilacciamento inarrestabile del collante unitario del paese. Abbiamo già 5 Regioni a Statuto speciale, 3 che hanno promosso l’Autonomia differenziata nel 2017, altre che si accingono a farlo, mentre solo 6 resteranno (per ora) a competenze “normali”. Ma anche queste ultime, incoraggiate dai comportamenti delle altre, chiederanno ulteriori poteri. Per cui l’Italia si trasformerà in una “nazione a sovranità limitata” per aver concesso nei fatti un’autonomia speciale a tutte e 20 le sue Regioni! Che c’entra questo con la
centralizzazione dei poteri che lascia intravedere la riforma costituzionale della Meloni?
Il progetto di un unico uomo al comando della nazione (anzi, di un’unica donna) dovrà convivere con una poliarchia di poteri locali, e ciò comporterà necessariamente una cessione di potestà del governo centrale. Si rafforzerà il potere del presidente del consiglio e al tempo stesso si indebolirà la catena di comando centrale su quella locale. Si ridurrà il sentimento di unicità della nazione mentre si rafforzerà il potere di chi la guida. Una impressionante schizofrenia istituzionale.
C’è una logica in tutto questo? La verità è che la Finanziaria del governo Meloni è un disastro manifesto, mentre la proposta sul premier eletto direttamente dagli elettori riscuote un certo consenso popolare, così come in alcune regioni settentrionali la proposta dell’Autonomia differenziata. Era naturale, dunque, una ritirata dal fronte dell’economia e un virare deciso verso una strategia istituzionale, che però presenta due facce non conciliabili tra di loro. Cosa le unisce? Le unisce il comune estremismo nella visione politica. Fratelli d’Italia e la Lega sono estremisti delle istituzioni. E per gli estremisti la contraddizione non è un limite ma un incentivo.
*già pubblicato su Repubblica