DALL'INVIATO - L’unico difetto di questo mondiale è stata la durata: troppo poco. Dovrebbero fare campionati mondiali di calcio dalla durata di tre anni. Giocando tutti i giorni, tre partite. Una alle 18, una alle 21, l’ultima alle 24, per i nottambuli. Torneo all’Italiana, 170 squadre, doppio turno di andata e ritorno. Sarebbe una pacchia, soprattutto per gli inviati speciali di Zoom. Comunque tutto ha un inizio e tutto ha una fine, tranne la stupidità che, come sappiamo è l’unica caratteristica umana con requisiti da infinito. Quindi anche questa meravigliosa manifestazione si concluderà, naturalmente con la finale.
Se il Brasile fosse arrivato in finale, qui a Rio oggi sarebbe stato di scena il Carnevale. Invece la città è invasa dagli Argentini e dalle loro facce italiote. Siamo a Rio, e sembra di trovarsi a Piazza Camagna. A noi Italiani viene quindi naturale fare il tifo per loro. Ma diciamoci la verità: tifiamo contro i tedeschi. Sono i favoriti. Sono fortissimi, seri, con quel senso di teutonica compostezza anche di fronte alla gioia. La loro grandine di gol sul Brasile riflette la loro mentalità tragica e cupa, da sacrificio estremo. Le danno, ma le sanno anche prendere. La sconfitta per i tedeschi non ha il gusto amaro della rotta, della fuga e della codardia. Non c’è vergogna nel perdere coraggiosamente, musicati da Wagner e con le Valchirie a seno nudo che scendono dalle nubi a cavallo di destrieri alati per raccogliere le anime dei morti in battaglia. Sono dritti come pali della luce, con delle bocche da ghiro e gli occhi chiari e crudeli. Sono fregati da cento anni di storia. Migliaia di film che li raffigurano in vesti da SS, a gridare ordini con quel tono perennemente arrabbiato.
Siamo fregati dallo stereotipo culturale: appena vediamo la faccia di un tedesco, lo immaginiamo in uniforme da soldato. Schweinsteiger sembra un paracadutista della Linea Gustav. Klose il pilota di un Messerschmitt. Muller l’addetto ai siluri di un U-Boote. Neuer, il portiere, al comando di un Panzer. L’allenatore Loew è d’impostazione Prussiana. Il gol incassato dal Brasile è un’onta. Cerca la perfezione. In realtà è un filosofo del calcio. Utilizza la critica metodologica applicata al gioco. Come la battaglia, ogni partita è uno scontro di spazi pieni e spazi vuoti. Lui costruisce la squadra come un blocco complesso ma lineare, che tende a occupare gli spazi altrui lasciando presidiati i propri. Ha degli uomini che sanno tagliare le difese come carri armati ed altri che sono roccaforti umane.Ma l’Argentina ha i talenti. Il calcio è un gioco di squadra, ma i talenti fanno la differenza. A parità di organizzazione, è il genio che decreta. Messi, Lavezzi, Higuain. Soprattutto il primo. Atteso al suo “A Day in the Life”. Cantavano bene quei quattro tipi di Liverpool. Giunge sempre un giorno nella vita in cui i tuoi gesti peseranno dieci volte di più. In cui ti riveli per ciò che sei in quel momento. Prenderti il mondo intero sulle spalle e farti un giretto. Puoi farcela, oppure no. Messi non ce l’ha fatta.
Per un disguido siamo capitati proprio nella zona riservati ai crucchi. Esse-Esse, il mio amico tedesco trapiantato a Manaus, ha incontrato una sua nipotina di Amburgo e ci ha abbandonati, unendosi ai suoi compatrioti. La ragazza ha poco più di vent’anni ed è molto affettuosa, ma dubito che sia veramente sua nipote. Ipocrita. Per tutto il mondiale aveva detto di non essere interessato al calcio e di non tifare per nessuno, e adesso invece è con quelli che canta a squarciagola “Germania Uber Alles”.La partita non è bella: è una finale. Ma le squadre se le danno di santa ragione, senza risparmiarsi. Messi a tratti si scuote dal suo torpore e infiamma le giocate, ma sono numeri da circo. Molto più efficace Lavezzi, che sembra lui il Messi di turno e però, inspiegabilmente, nel secondo tempo esce.
I tempi regolamentari finiscono. I crucchi tutto attorno sono preoccupati. La solita ombra tragica aleggia sulle loro teste. Sembrano più pronti alla sconfitta. Supplementari. Si combatte ancora. Il destino e gli dei mettono le mani nei fatti degli uomini. Due sostituzioni: Schurlle, fante della Wermacht a Stalingrado, e Goetz, armato di Panzerfaust . Cross del primo, stop di petto e proiettile esplosivo del secondo. Rete.Il mondiale è deciso. La vittoria è tedesca. Beethoven risuona alto nel cielo di Rio De Janeiro. La gioia è loro e non sanno fare di meglio che comporle un inno. Mi guardo attorno, tra questi spilungoni dagli occhi azzurri, tra queste valchirie squadrate, tra questi marcantoni contenti come fanciulli, e allora mi tornano in mente certi versi che avevo studiato alle elementari. “ e come se quei cosi doventati fossero gente della nostra gente, entrai nel branco involontariamente…” Quando festeggiano i tedeschi sono tali e quali a noi. Siamo deficienti esattamente allo stesso modo. Diventiamo generosi, gai, esageratamente altruisti. Offriamo, ridiamo per idiozie, e vogliamo bene a tutti. Anche i tedeschi diventano così.
“… e mi stupisco che in quelle cotenne, in quei fantocci esotici di legno, potesse l’armonia fino a quel segno…” I ricordi scolastici mi tormentano ancora. La vittoria rende umani. In questo caso è stata anche giusta ed equa. I più forti al primo posto, gli altri dietro. Così va la storia. Resta solo la sostanza e la realtà dei fatti. Si possono fare tutte le congetture possibili, ma già nel momento in cui se ne parla, la storia è già passata. Compiuta.
E la storia, in questi Mondiali di Calcio, l’hanno fatta i Tedeschi. Sono in cima al mondo del calcio, ed è giusto che sia così.Il mio lavoro da inviato termina qui. Lascerò il Brasile con grande dispiacere. È uno dei posti più belli del mondo, e si mangia anche bene. Come già comunicato, riprenderò le mie cronache dal Tour de France. È la prima volta che una testata reggina avrà un inviato alla Grand Bocle, ed è un onore quindi. In Francia mi accompagnerà Jerry Drake, con il suo Piper, ma siccome non ha il permesso d’atterraggio per via di una multa dei qualche anno fa, sarò costretto a paracadutarmi. A presto quindi e, Viva il Mondiale di Calcio !
Florentino