Mi alzai di scatto, sbattei forte non le palpebre ma i tacchi
Erano tempi duri per la cultura Primi anni ‘60, e stavo corteggiando una collega di studi a Valle Giulia, Facoltà di Architettura. Lei una pariolina biondo cenere e io un moretto dell’Alberone, sull’Appia dopo San Giovanni.
Un pomeriggio solitario, sorvegliati da Marc’Aurelio a cavallo, studiavamo dal vero le forme michelangiolesche, seduti sui gradini del Palazzo dei Conservatori in piazza del Campidoglio, all’ingresso dei Musei Capitolini, quando lei, molto determinata e sbattendo forte le palpebre, mi disse: “Come fai a leggere i romanzi di quel frocio di Pasolini?”.
Io altrettanto determinato, se non di più, mi alzai di scatto, sbattei forte non le palpebre ma i tacchi, e la lasciai lì. Poi non volli saperne più nulla.
Ne cancellai persino il nome, che comunque non avrei mai rivelato neanche sotto tortura.
Non che io alla mia età sia messo particolarmente bene, ma me l’immagino com’è oggi: zitellamente siliconata, e ostinatamente anti-pasoliniana.
Niente da fare, diceva quel Vecchio Saggio: Zitelle si nasce!