Le uniche volte in cui il centrosinistra ha vinto le elezioni lo ha fatto con un’alleanza larga basata nel 1996 sull’asse Pds (ex comunisti) e PPI (ex democristiani di sinistra) e Democratici di sinistra e Margherita nel 2006. Le elezioni sono state perse quando si è pensato di rappresentare da soli lo schieramento progressista (come il Pd nel 2008) o quando si è ristretto al minimo il campo delle alleanze (come nel 2021).
Se il Pd vuole tornare al governo con il voto, lo può fare solo presentandosi in coalizione con altri partiti o movimenti diversi da esso. Il Pd è una forza impotente se si autorappresenta come unico riferimento del variegato campo progressista o considera gli alleati come una fastidiosa necessità, disprezzandoli mentre ci si allea. Il campo largo è un rispettarsi tra diversi, senza costruire barriere insormontabili, senza considerare i partner dei minus habens o dei fanatici populisti, senza pensare che i loro temi identitari siano estranei alla grande famiglia dei progressisti.
Se si vuole battere la Meloni non si può prescindere nella maniera più assoluta dall’asse tra la Schlein e Conte, anche se qualche volta alcuni comportamenti mettono a dura prova la “pazienza progressista”. È un’alleanza complicata e obbligata, ma a due anni dalle elezioni non ne esiste un’altra per battere il centrodestra. Ai maggiorenti del Pd viene da dire: “smettetela di fare i sostenuti con i Cinquestelle, lasciate lavorare la vostra segretaria: la sua testardaggine è l’unica via per il vostro successo!” Dopo tante sconfitte, volete prendervela proprio con chi, irrompendo all’improvviso sulla scena politica, ha ridato forza e credibilità al Pd? In questi anni, per chi non se ne è accorto, c’è stata una rivolta dei “trascurati” d’Italia e il Pd stava per esserne travolto.
Contribuire a far diventare il movimento dei Cinquestelle una forza di interlocuzione con i valori della sinistra ex comunista e cattolica è stata una delle più lungimiranti strategie per fornire una nuova chance al Pd, azzoppato dallo stare a tutti i costi al governo, e agli ex grillini, azzoppati dal loro isolamento protestatario e dall’alleanza con la Lega.
Perciò, ridicolizzare il pacifismo, la più potente religione civile nell’epoca della democrazia, non è solo uno schiaffo ai Cinquestelle ma equivale a mettersi contro anche una parte dell’elettorato Pd. Così come considerare l’ambientalismo una politica per “puri di cuore” è mettersi contro i sentimenti profondi delle nuove generazioni assetate di una politica valoriale. Nel pensiero progressista esiste necessariamente un mix di idealismo e di realismo, mai di cinismo. Cinismo e sinistra sono termini opposti. D’altra parte, ci sarà un motivo se le destre non sono né pacifiste né tantomeno ambientaliste.
È questa la fase della radicalità antisociale dei ricchi che non vuole essere moderata da nessun sentimento umano né da nessun vincolo democratico, una radicalità che è disposta a qualsiasi accordo anche con i peggiori dei peggiori. A questo radicalismo cinico non si può che rispondere con il radicalismo della speranza.
C’è una vecchia abitudine nella sinistra italiana di identificare il riformismo con il conservatorismo. Ma riformismo e conservatorismo sono concetti inconciliabili in qualsiasi vocabolario o dottrina politica. Incredibile, perciò, come oggi in nome di un presunto riformismo si pretenda che la segretaria del Pd accetti pedissequamente di sostituire il vecchio atlantismo con l’europeismo armato.
Elly Schlein ha un vantaggio rispetto ai maggiorenti di derivazione comunista e democristiana. Lei non appartiene alla generazione che ha vissuto ideologicamente il discrimine tra comunismo e capitalismo. E ciò le consente di essere libera nell’approccio all’ultimo retaggio di quella lunga stagione di contrapposizioni, cioè la deterrenza armata contro il pericolo proveniente unicamente dall’Est. E di poter parlare un linguaggio di una sinistra del XXI secolo in cui ambientalismo, pacifismo e amore per gli ultimi si fondono come non era stato possibile prima.
Per una parte del Pd la radicalità dei propri ideali e la coerenza nel volerli realizzare sono difetti insopportabili, come se si trattasse di una pulsione minoritaria. Ma nessun vero riformista si definirebbe moderato, perché i valori non si possono sostenere “moderatamente”. Per riformare bisogna osare. La moderazione non favorisce le trasformazioni. Perciò, il pensiero progressista si deve incontrare senza timori con le conseguenze della fine dell’atlantismo armato. che non può più rappresentare il recinto del pensiero democratico. Il realismo impone, certo, di difendersi dai dittatori e dai rigurgiti del nuovo nazionalismo che ha preso campo anche negli Usa e in altri paesi europei. Il realismo è anche una difesa dal fanatismo, certo. Ma non è assolutamente la negazione di ogni impegno politico basato su solide idealità.