Vale la pena farsi 4 mila km, 22 ore di aereo e tre fusi orari per andare in Thailandia e vedere il meraviglioso museo della seta di Bangkok ma poi, inaspettatamente, sotto casa praticamente, a un tiro di schioppo dalla Cittadella regionale di Germaneto, si scopre una via della seta nostrana in piena regola? Un altro dei paradossi di casa nostra è, infatti, il piccolo/grande capolavoro che ha sede a San Floro, paese che a molti non dice niente ma che alla grande maison di Gucci ha invece detto molto, tanto che i meravigliosi foulard che vedete esposti nelle boutique di tutto il pianeta sono fatti con la seta che Gucci compra qui. A San Floro, sì, a un prezzo 10 volte e più superiore a quello praticato dai venditori in Asia (Thailandia, Laos, Cambogia, India) ma con una qualità infinitamente più alta che vale, dunque, il prezzo più alto, compreso le innovazioni che Gucci intende fare a San Floro.
Miracoli sconosciuti senza alcun’ombra di dubbio alla maggior parte dei calabresi (vecchia storia) ma non a chi si intende di queste cose. A Gucci appunto. A San Floro il compagno Florino Vivino - una vita nel PCI spesa per gli ultimi - a un certo punto decide che quelle meravigliose piante di San Floro, un gelseto di più di 3 mila esemplari di varietà pregiata, può fruttare qualcosa. Sempre restando compagno ma non nel PCI che non c‘è più, nonostante i pianti al film su Berlinguer proiettato a Roma e in uscita nelle sale il 31 ottobre. Ma questa è un’altra storia. Forse.
Dunque: a che cosa servono le foglie del gelso se non ad essere l’unica fonte di alimentazione dei bachi da seta, oltre a produrre le more di gelso saporite per fare marmellate? Nasce così una cooperativa, si chiama Nido di Seta, per recuperare non solo una tradizione storica (la seta è vecchia di secoli in questa parte di Calabria), con le antiche tecniche della lavorazione (i vecchi telai) che sono affiancate oggi dalle innovazioni tecnologiche più moderne. Oggi Nido di Seta, dove lavorano un gruppo di ragazze e ragazzi, produce seguendo tutta la filiera dell’allevamento, dal baco fino al bozzolo, poi il filo di seta, sgommato e tinto utilizzando solo i pigmenti naturali offerti dal territorio (come la cipolla di Tropea). Poi il filato viene destinato alla creazione dei prodotti della seta (anche gioielli e legno) e venduto, come si è detto ad esempio, alla grande casa Gucci. Che ne fa foulard e vestiti. Poi il turismo: due bravissime guide ospitano comitive da tutti i Paesi che restano a bocca aperta al solo vedere quello che qui sono in grado di fare Florino, il figlio Domenico e gli altri della cooperativa.
Insomma la via della seta - che Pechino ha inventato e poi è mezza fallita - passa anche da qui, alla faccia di chi non vuole accorgersi che anche da noi le cose possono, potrebbero, cambiare. Parabola finale: se una piccola ma grande morale si può e si deve trarre da questa storia che ho raccontato per sommi capi e che consiglio a tutti di andare a verificare di persona questa è una sola, al di là delle emozioni. Si può cioè invertire una tendenza se nascono altre 100, mille coop come la Nido di Seta, che oltre a recuperare la tradizione (in questo caso quella serica) punti a valorizzare la nostra terra attraverso la tutela del paesaggio, la rivalutazione del territorio stesso, con un equilibrio tra tradizione e innovazione.
Tutto questo senza piangersi addosso, senza il solito pianto greco delle cose che non vanno, degli ostacoli, degli errori, delle storture. Che pure ci sono ma che non hanno rappresentato e non rappresentano un ostacolo o un modo per fermarsi. Se c’è una morale nel Nido di Seta di San Floro è anzi proprio questo: testa bassa e pedalare, lavorare per crescere, sennò l’alternativa è quella nota: andare via e allora davvero ricomincia il pianto greco! Ma il compagno Vivino viene da lontano e guarda lontano!