Sinistra, grande è la confusione
Piazze piene, urne vuote. In queste settimane è tornata ancora una volta di moda la nenniana, amara, constatazione. Le destre gongolano, è comprensibile, umanamente comprensibile. Meno politicamente comprensibile è la confusa e spesso scomposta reazione della sinistra italiana di fronte ai frequenti insuccessi elettorali e all’assenteismo dalle urne che la colpisce in maniera particolarmente pesante. Parlo di assenteismo perché la categoria dell’astensionismo non mi ha mai realmente persuaso. Credo che un’analisi seria del voto regionale (in particolare di quello calabrese) aiuterebbe non dico a capire ma quantomeno a mettere correttamente a tema la questione del perché molti di quelli che vanno in piazza non si recano alle urne e alcuni di questi molti vi si recano per votare le destre di governo. Perché oggi la destra ha comunque una politica e se mi piace ancora “ballare” (votare) al ballo (al voto) comunque vado, anche se è non il ballo per cui stravedo. E se non “ballo” (se non voto) non è che mi astengo dal “ballare”, non vado proprio: mi assento. Dunque il “ballo” delle piazze è eternamente destinato a non tradursi in voto? Si se la sinistra continuerà a non capire quelle piazze, a chiedere loro quello che possono dare e quello che non possono dare. Quello che non possono dare si chiama indirizzo politico, un orizzonte di senso e la traduzione di questo orizzonte di senso in un programma di opposizione potenzialmente destinato a diventare un programma di governo.
Il tema è quello di come far prendere forma alla “società civile”, di come farla diventare anche una “società politica”. Grande a sinistra è la confusione tra queste due dimensioni e, quindi, la loro odierna incomunicabilità. Pochi giorni fa un autorevole autore del nostro web magazine, Isidoro Mortellaro, mi ha segnalato un recentissimo articolo di Dylan Riley dal titolo Contro Arendt (https://newleftreview.org/sidecar/posts/contra-arendt). Parla di Trump e dell’America, della sinistra americana. Cioè anche – aggiungo io – della sinistra italiana. Una “Lama” che mi permetto nei suoi passaggi essenziali di sottoporre all’attenzione dei nostri lettori.
Tra le tante lezioni del ritorno di Trump alla Casa Bianca, una cruciale – ricorda Dylan Riley – riguarda la società civile: un concetto insipido e frustrante, ma tuttavia ineludibile. Ripreso dalla Filosofia del diritto di Hegel, Marx cercò di metterne a nudo la struttura sottostante e le leggi del movimento. Ma nel compiere questa svolta intellettuale perse qualcosa dell’importanza politica e culturale della sfera delle associazioni e dei gruppi di interesse che caratterizzavano questo “secondo livello della sovrastruttura”, incuneato tra l’economia produttiva e lo Stato (Gramsci). Dopo una pausa di alcuni decenni, il concetto è tornato prepotentemente in auge durante il breve periodo degli anni Novanta noto come “fine della storia” ed ora è di nuovo al centro dell’attenzione pubblica degli attivisti delle ONG che invitano la società civile a resistere alla crescente minaccia autoritaria. La società civile e segnatamente le organizzazioni che si occupano di diritti umani sono fondamentali, dice la sinistra liberale, per evitare quella che Arendt descrisse ne “Le origini del totalitarismo” come la degenerazione di una società in una “massa”.
Ma veramente, si chiede Dylan Riley, la società civile è e può essere un “soggetto agente”, un agente in proprio? Oppure non aveva ragione chi, come Gramsci, aveva compreso che la società civile è, piuttosto, un “terreno di lotta”? Cosa che ha capito benissimo negli Stati Uniti il MAGA. Questo movimento non vuole distruggere il regno delle associazioni e dei gruppi di interesse, cerca di colonizzarlo. Non scoraggia l’impegno civico, cerca di promuoverne le forme. Così, sulla scia dell’assassinio di Charlie Kirk, JD Vance ha esortato gli ascoltatori del podcast di Kirk a “coinvolgersi, coinvolgersi, coinvolgersi”, spiegando che la società civile “non è solo qualcosa che deriva dal governo, ma da ognuno di noi”. Insomma: una lotta per l’egemonia combattuta sul terreno della società civile, non una lotta a favore o contro un regno (mitico) di consenso pre-politico.
Non molto diversamente fanno le destre trumpiane in Europa. Sicuramente lo fa Giorgia Meloni. Basta osservare con quale perizia si muove nei meeting delle associazioni imprenditoriali, in quelli sindacali, in quelli del variegato mondo dell’associazionismo cattolico. Un terreno di lotta, un terreno da indirizzare e mettere in forma. Non basta convocare e/o aderire alle manifestazioni per la pace: bisogna disciplinare ed educare i suoi partecipanti. Una sinistra impolitica non va da nessuna parte. Alimenta solo la confusione, prepara nuove, future, sconfitte, decreta la morte della società civile su cui retoricamente dichiara di stare seduta.
*Prof ordinario di Diritto Costituzionale, Uni Urbino