IL LIBRO. Amitav Ghosh, Il viaggio di uno scrittore nelle storie nascoste dell'oppio

IL LIBRO. Amitav Ghosh, Il viaggio di uno scrittore nelle storie nascoste dell'oppio
Il commercio delle droghe è oggi la principale fonte di ricchezza della
criminalità nel mondo e il suo più potente motore. È grazie a questa attività
che le mafie hanno acquistato un ruolo economico e finanziario che non ha
precedenti nella storia. La rivista «Forbes» aveva inserito già alcuni anni fa
un capo di un cartello messicano tra gli uomini più ricchi al mondo. Il
direttore dell’ufficio per la lotta alla droga delle Nazioni Unite, Antonio
Maria Costa, ha affermato che nel 2009 ben 325 miliardi di euro
provenienti dal narcotraffico sarebbero stati impiegati per fronteggiare
problemi di liquidità del sistema bancario di diverse nazioni europee ed
evitarne il tracollo.

Ma il traffico di droga, in particolare dell’oppio, non è stato un commercio
sempre in mano ai fuorilegge. Nell’Ottocento era una delle principali
attività della Compagnia delle Indie orientali e contribuiva in maniera
determinante alla prosperità dell’impero britannico. I primi narcotrafficanti
della storia sono stati, quindi, i rappresentanti dell’impero britannico in
India. Una parte del sistema economico, finanziario e industriale della
nazione più potente al mondo dell’epoca coloniale, affonda le sue origini
nella droga. Un gigante dell’energia, la Shell, si origina da quei proventi,
solo per fare un esempio. Successivamente il commercio dell’oppio tra
l’India, la Turchia e la Cina fornì capitali enormi anche ad alcune delle
famiglie americane che hanno poi fatto la storia degli Stati Uniti, come ii
Forbes i Roosevelt e i Low, dando vita a una parte del sistema bancario
nord-americano e alla costruzione della rete ferroviaria di quella giovane
nazione. Prima di loro, nel Settecento, erano stati gli olandesi i principali
mercanti d’oppio, poi anche i francesi entreranno nel club internazionale
dei narcotrafficanti di Stato. Una parte dell’odierno capitalismo globale
trae origine dall’oppio.

Insomma, la storia del commercio della droga non è solo una storia
criminale, ma appartiene a pieno titolo alla storia dei profitti accumulati da
alcuni stati occidentali che hanno dato vita al capitalismo moderno.
Inizialmente si trattava di un ricco commercio non considerato illegale,
che aveva però un connotato razziale: i consumatori erano non bianchi ma
gialli (i cinesi) e i produttori erano indiani e non inglesi. Ed è in questo
periodo storico che la malavita comincia ad affiancarsi al capitalismo fino
a diventare qualcosa di inedito nella storia dell’economia. Ma mentre nel
Settecento e nell’Ottocento erano le economie ricche che rifornivano di
droga realtà meno sviluppate (l’Inghilterra verso la Cina), oggi avviene il
contrario: sono paesi arretrati che si mantengono sulla domanda di droga
dei paesi più sviluppati.

Tutto ciò viene raccontato con la maestria del grande scrittore, con la
profondità dello storico che consulta scrupolosamente le fonti e con la
passione civile di un ex appartenente a un impero coloniale, dallo scrittore
indiano Amitav Ghosh nel libro Fumo e ceneri (Il viaggio di uno scrittore
nelle storie nascoste dell’oppio, Einaudi) destinato a diventare una pietra
miliare dei nuovi studi sulle origini del capitalismo globale.
In Cina la presenza dell’oppio è documentata fin dall’ottavo secolo ma se
ne faceva solo un uso terapeutico. Poi a partire dalla dinastia Ming si
sviluppò l’abitudine al consumo dell’oppio negli strati più colti della
popolazione per facilitare gli stadi meditativi del taoismo. Ma fu per
ragioni strettamente commerciali che il consumo dell’oppio divenne la
piaga più grave della Cina. Il tutto avvenne a causa dello squilibrio della
bilancia dei pagamenti inglese a seguito della colonizzazione dell’India. Il
consumo del tè cinese era arrivato nel 1820 a trenta milioni di libbre
divenendo la bevanda più consumata dagli inglesi e un simbolo di
prestigio sociale. I cinesi esportavano in Inghilterra facendosi pagare in
argento, portando verso l’esaurimento le riserve inglesi di questo metallo.
Il governo inglese decise di compensare le importazioni di tè cinese con le
esportazioni in quel Paese di oppio prodotto in India e da loro controllato
tramite la Compagnie delle Indie orientali. Ma l’imperatore cinese aveva
proibito l’importazione, la commercializzazione, la vendita e il consumo
dell’oppio, anche con la pena di morte, così gli inglesi misero in moto, per
superare il divieto, un sistema impressionante di contrabbando e di
capillare corruzione dei funzionari e dei poliziotti cinesi. Il porto di Canton
era il principale luogo di passaggio di questa attività illegale. Nel giro di
pochi anni la bilancia dei pagamenti inglese tornò in pareggio con la Cina.
La sfida tra tè e oppio fu vinta dagli inglesi. Fu l’offerta di oppio ad
incrementare la tossicodipendenza dei cinesi e non la loro predisposizione
di razza, come si raccontava.

A quel punto, l’imperatore Daoguang nominò un commissario, Lin Zexu,
per arrestare l’ondata di oppio in arrivo dall’India, dandogli mandato di
bruciare tutto ciò che riusciva a sequestrare. Nel 1839, prendendo a
pretesto la distruzione di ben 20.000 casse d’oppio, gli inglesi attaccarono
la Cina e in due anni la sconfissero militarmente. Dopo quella prima
“guerra dell’oppio” la Cina fu costretta a cedere Hong Kong agli inglesi e
a pagare una penale di 21 milioni di dollari di cui 6 solo per l’oppio
distrutto. Nel 1856, dopo una seconda guerra dell’oppio, l’Inghilterra
(alleata degli Usa e della Francia) riuscirà a legalizzarne il commercio.
Alla fine dell’Ottocento le casse esportate dall’India arrivarono a
centomila e i fumatori cinesi di oppio salirono a 120 milioni su 385 milioni
di abitanti: un disastro umanitario.

Gli inglesi usarono due pretesti in entrambe le guerre dell’oppio: la difesa
della libertà dei missionari e del popolo cinese oppresso (“interventismo
umanitario”) e la difesa del libero mercato. Nel corso dei decenni
successivi saranno sempre questi gli argomenti che proveranno a
camuffare gli interessi in gioco. In particolare, accostare il traffico di droga
alla difesa del libero mercato è una delle più infami giustificazioni nella
storia. Tutti i trafficanti di oppio occidentali (inglesi, olandesi, francesi e
statunitensi) erano ferventi cristiani, ma il loro vangelo era solo la libertà
di trafficare quello che volevano, cancellando ogni vincolo etico in nome
del profitto. La doppia morale è stata incamerata pienamente
nell’evoluzione del capitalismo moderno. Amitav Ghosh assimila il
negazionismo sul traffico di droga tra India e Cina al negazionismo
odierno sui danni dell’energia fossile. Il commissario Lin Zexu scisse una
lettera alla regina Vittoria che merita di essere ricordata: “Immaginiamo
che persone di un’altra nazione portino l’oppio in Inghilterra e inducano la
popolazione del vostro paese a fumarlo, non aborrireste voi, sovrana di
quel paese, una simile procedura, e non fareste voi il possibile nella vostra
giusta indignazione per liberarsene?”. Gli inglesi risposero con i cannoni a
queste ragionevoli parole. Quel periodo storico è molto studiato in Cina,
pochissimo in Occidente. E avrebbe tanti insegnamenti da suggerire per
evitare quello che è già avvenuto.