La politica che unisce. In morte di Michele Traversa

La politica che unisce. In morte di Michele Traversa

Si sono svolti i funerali di Michele Traversa, un uomo politico per il quale si stanno spendendo in queste ore fiumi di parole e di elogi da tutte le parti. Alla camera ardente, allestita alla Provincia di Catanzaro, c'era un fiume di persone a rendergli omaggio.

Mi sto chiedendo il perché e i motivi di tanto unanime e sincero cordoglio, che non è niente affatto usuale per un uomo politico ben connotato dal punto di vista ideale se non ideologico. Tutt’altro anzi. Michele (ero suo amico e mi si perdonerà se parlo e scrivo così) era infatti un politico dichiaratamente di destra, veniva dal MSI e dalla Cisnal. Ha fatto tante cose: il presidente della Provincia, il Sindaco, il parlamentare, l’assessore regionale al Turismo e dovunque ha lasciato il segno. Tanti, tutti potremmo dire, stanno ricordando – ad esempio - la meraviglia del Parco del parco della Biodiversità a Catanzaro, ricavato in pochi anni in uno spazio prima inutilizzato e che, tra le altre cose, ospita un museo all’aperto con le installazioni dei principali artisti italiani e mondiali. Fra le più celebri spiccano Electric Kisses di Dennis Oppenheim, Cast glance di Tony Cragg, e “L’uomo che misura le nuvole” di Jan Fabre. E poi il nostro Mimmo Paladino. Cosa unica in Italia, che quando lo vedono amici e colleghi di Milano o di Roma strabuzzano gli occhi e non vogliono crederci!

Ma non è di questo che voglio parlare ma di una possibile e auspicabile lezione che si potrebbe cogliere. della singolaritàe della possibilità di replica che cioè può esserci se la politica diventasse il prisma del fare, della concretezza, del dare risposta reale ai bisogni; ai cittadini che si amministrano, senza parole e chiacchiere ma nel silenzio dell’operosità.

Io lo ricordo Michele quando testardamente volle fare quel Parco, vincendo anche ridicole obiezioni pseudo ambientali di settori della sinistra. Vinse perché aveva una visione, appunto, che rispondeva a quello che si chiedeva: un polmone verde dentro una città. E fino all’ultimo, finchè le forze glielo hanno consentito, è stato lì a curare con vanga e badile quella creatura. Era, e dovrebbe essere, la politica che univa perché era la politica del fare.

Se un lascito, oltre ai tanti che si vedono, Michele ha lasciato, se una scia di insegnamento più generale si può e si deve cogliere in questo suo tratto terreno e che dovrebbe, potrebbe, essere raccolto è quello che la politica si metta ad operare nel segno del fare, che è quello che alla fine unisce.

Non cancellando – dio me ne guardi - nessuna diversità, nessuna diversa posizione ideale o politica (lasciamo perdere le ideologie di cui si sono perse, ahimè, le tracce) ma nel segno di una precisa missione che sembra scomparsa ma che è l’unica sponda per ridare fiducia ai cittadini. Almeno cercare di farlo. Alla gente, si potrebbe dire, a chi si allontana dalle cabine elettorali, che stenta a credere in qualcosa, confusa dal baillame, dalle grida confuse che ogni giorno animano un dibattito politico aspro ma privo di veri slanci.

Caro Michele quanto mi mancheranno quei foglietti dove scrivevamo le previsioni elettorali ad ogni tornata! E ci indovinavi quasi sempre! E quei caffè al quel bar di Montepaone Lido, sullo splendido Jonio, e sempre col sorriso e la leggerezza di chi la politica la intende ma soprattutto la fa con l’occhio, la mente e il cuore rivolto agli altri. Ti sia lieve la terra per davvero amico mio!