DI FILIPPO VELTRI
"Me la sono sempre immaginata così la fine del mondo: muri sbriciolati,
pareti dalle ferite profonde, un cane che scava tra i rifiuti diventati una
discarica a cielo aperto, le strade quasi vuote, interi isolati ridotti a un
cumulo di macerie, un padre che pedala con la figlia nel cestino della
bicicletta passando davanti a edifici smembrati. L’apocalisse assomiglia al
Nord di Gaza, non ho dubbi". Martina Marchiò, coordinatrice medica
Medici senza Frontiere, è tornata a Gaza un anno dopo lo scorso incarico
nella Striscia. Nel suo racconto, tutto il dolore nel trovare ancora più
distruzione e sofferenza nella popolazione, sotto assedio ormai da mesi.
ActionAid che ha aderito alla mobilitazione social del 9 maggio, “L’ultimo
giorno di Gaza – L’Europa contro il genocidio”. Siamo inorriditi dalle
notizie secondo cui l’esercito israeliano intende intensificare la propria
offensiva e occupare nuovi territori e respingiamo del tutto il piano di
controllare e condizionare la distribuzione degli aiuti alla popolazione di
Gaza. È una violazione dei principi fondamentali dell’azione umanitaria:
imparzialità, neutralità e indipendenza. Per questo, nella Giornata
dell'Europa e dei valori che l'hanno costituita, chiediamo che diventi
l'ultimo giorno in cui si assiste al dramma di Gaza. Chiediamo il cessate il
fuoco immediato, la fine delle ostilità e degli attacchi contro i civili. Ma
soprattutto, chiediamo l'accesso degli aiuti umanitari.
Credo che ormai dovremmo ammettere tutti - nessuno escluso - che a
Gaza stia avvenendo un vero e proprio genocidio. Negare ciò, o anche
minimizzare la portata criminale di Israele, significa renderci complici di
una violenza storica che si annovera fra le più bieche e ciniche che
l'umanità ha sopportato. Non possiamo più essere complici, non
possiamo più comportarci come il popolo tedesco negli anni del nazismo.
Accanto ai criminali con la svastica c'era un intero popolo che, per paura o
ignavia, si girava dall'altra parte. Se le autorità dello Stato di Israele
sminuiscono la gravità del genocidio, sia il popolo a ribellarsi. E a
ricordare agli ebrei che essi sono ora tutti colpevoli, perché sanno cosa
sta accadendo e non fanno nulla per fermare i criminali che li governano.
Tra i gruppi social di numerose associazioni calabresi circola un
lunghissimo documento, pesantissimo e gravissimo: da due mesi a Gaza
non entra infatti nulla, niente cibo, medicine, nessun bene necessario alla
sopravvivenza di una popolazione bombardata, sfollata, ferita e già
ridotta allo stremo. Di fronte alla paralisi, ignobile, dei nostri
rappresentanti statali e degli organismi internazionali, un piccolo gruppo
di attivisti si è organizzato attorno alla Freedom Flotilla, un’iniziativa della
società civile per portare assistenza alla popolazione intrappolata.
Il pensiero – si dice tra l’altro nel documento - va indietro nel tempo, a 15
anni fa: la Mavi Marmara (la più grande tra le barche con a bordo
centinaia di attivisti da tutto il mondo che tentavano di rompere il blocco
di Gaza) fu presa d’assalto nella notte del 31 maggio 2010 da forze
speciali israeliane. Il bilancio fu di nove civili uccisi e quasi trenta feriti.
Nonostante le commissioni di inchiesta e le insistenti richieste, anche alla
Corte penale internazionale (Cpi), di processare i responsabili di questo
crimine, non c’è stata mai alcuna forma di giustizia, né a livello interno né
internazionale.
Il blocco di Gaza non ha due mesi di vita: con intensità diverse, da decenni
Israele impone questa forma di punizione collettiva alla popolazione di
quel piccolo lembo di terra. La politica di chiusura, blocco e assedio di
Gaza è praticata dagli anni Novanta: è da allora che il Palestinian Center
for Human Rights di Gaza (Pchr) ha iniziato a documentare le restrizioni
alla circolazione di persone e di beni a Gaza, ben prima quindi
dell’avvento di Hamas al potere. La situazione è drammaticamente
peggiorata dal 2007, dopo la presa del potere di Hamas nella Striscia:
Israele dichiarò l’intera Gaza «un’entità nemica» e alzò il livello di una
politica illegale già in atto, centellinando tutto ciò che entrava a Gaza,
perfino le calorie consumabili dalla popolazione – calcolate su quel
minimo necessario per passare il vaglio dei giudici.
Ciò che sta avvenendo oggi è l’atto finale di decisioni che vengono da
lontano. Ciò che sconvolge ulteriormente è che ciò avviene mentre alla
Corte internazionale di giustizia (Cig) si continua a discutere degli obblighi
di Israele rispetto alla popolazione civile palestinese, che è popolazione
protetta (compresa quella di Gaza) in base al diritto internazionale
umanitario, tra cui la Convenzione di Ginevra.
‘’Assistiamo impotenti, come se l’Onu non potesse fare nulla di fronte
alla più grande violazione di tutti i principi posti alla base della sua Carta.
Netanyahu è oggetto di un mandato di arresto per gravissimi crimini di
guerra e contro l’umanità spiccato dalla Cpi. Eppure, nessuno Stato sta
prendendo misure concrete per costringerlo a rispettare i principi dello
stato di diritto, il divieto di commettere un genocidio o almeno quelle
regole basiche del diritto internazionale umanitario, in cui gli Stati fanno
ancora finta di credere nei loro argomenti davanti alla massima autorità
giudiziaria dell’Onu’’.
Infine, per ultimo ma non ultimo: in un anno e mezzo di guerra – ha
ricordato il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti - le
operazioni israeliane a Gaza hanno causato la morte di oltre 200
giornalisti palestinesi. Si tratta di un massacro senza precedenti nella
storia della nostra professione, come dimostrato da un recente studio
dell’americana Brown University. ‘’Almeno 40 di questi colleghi sono stati
uccisi con in mano una penna, un microfono, una fotocamera e
indossando il giubbotto con la scritta “press”.
La speranza è nel nuovo Papa eletto nei giorni scorsi e al suo invito alla
pace disarmata e disarmante.