LA DISCUSSIONE/3. Togliere i figli ai boss? Capisco i dubbi, ma la scelta è giusta

LA DISCUSSIONE/3. Togliere i figli ai boss? Capisco i dubbi, ma la scelta è giusta
figlib  (rep) Gentile direttore, consulto quotidianamente la sua testata online in quanto la ritengo un serio luogo di rifugio per quanti, bombardati quotidianamente da notizie, opinioni, battute e vedute di parte, trovano nel suo quotidiano una testata seria, riflessiva e alimentata da importanti contributi esterni.

Ho letto il pezzo di Maria Franco dal titolo: "togliere i figli ai boss, è una scorciatoia fallimentare"? Le devo dire che forse i dubbi della signora, sono i dubbi di tutti quelli che, soprattutto inizialmente, si avvicinano a questa materia ed a questi strumenti messi in campo dal Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria. Dubbi e perplessità più che legittimi che anche lo scrivente ha avuto, salvo poi approfondire il tutto in un lungo percorso di studi educativi, culminato con un elaborato di tesi sull'argomento della sospensione e revoca della responsabilità genitoriale come strumenti di tutela (ci tengo a sottolinearlo, strumenti di tutela) per il minore che cresce in famiglie di ndrangheta.

Ha ragione la signora Franco: questo provvedimento rappresenta l'extrema ratio; non tutti i minori vengono allontanati dalle proprie famiglie solo perché portano un determinato cognome. Affinché ciò avvenga è necessario che si siano verificati episodi talmente gravi e reiterati nel tempo tali da convincere il tribunale ad assumere questa decisione. Tali comportamenti, si presti attenzione, non riguardano solo i genitori, bensì i minori stessi i quali, prima di giungere dinnanzi al dottor Di Bella, generalmente, si sono macchiati di qualche piccolo reato.

E' proprio lì il fulcro, il nocciolo di questi provvedimenti. Si ha da un lato la famiglia che pone in essere comportamenti che, alla lunga, potrebbero compromettere il sano sviluppo psico-emotivo del minore; dall'altro abbiamo il minore stesso che, crescendo secondo determinate logiche, si rende protagonista di atti che richiedono un intervento tempestivo da parte degli assistenti sociali e, di conseguenza, del Tribunale dei minori.

La domanda della signora Franco circa il motivo per cui lo Stato non interviene sui figli dei politici, corrotti, burocrati ecc ecc andrebbe evasa da un esperto di diritto, non dal sottoscritto, ma credo che la questione sia semplicemente legata alla natura individuale di questi reati commessi, magari dal solo genitore e che, tale reato, non comprometta nulla nello sviluppo del minore stesso. Certo, mi si dirà che non sono un bell'esempio da seguire per i figli, e concordo, ma un burocrate corrotto, un politico corrotto, un medico corrotto a differenza dei mafiosi, tende a nascondere i suoi comportamenti, a non divulgarli e diffonderli. Il mafioso, invece, della diffusione e promozione di certi "valori" è interessato poiché ne va del suo potere.

I suoi disvalori li deve trasmettere perché la famiglia (intesa come famiglia di sangue e famiglia d'affari che, nella malavita, sono un tutt'uno) possa continuare a esistere e gestire il potere. La differenza, credo, stia solo in questo. Il dubbio che la signora Franco ha sul piano "pratico", ossia l'efficacia di tali provvedimenti, meriterebbe un'altra lettera che racconti di come da Palermo a Bolzano tutte queste esperienze abbiano lasciato un segno nei minori che le hanno vissute.

La risposta ai suoi dubbi la possiamo avere solo se riuscissimo a guardare a questi provvedimenti da un altro punto di vista: non si allontanano i minori per colpa loro, per punirli di qualcosa di cui spesso non sono protagonisti. No. Li si allontana per offrire loro una cassetta degli attrezzi: ovvero li si allontana per fornire loro tutti quegli strumenti utili affinché siano liberi di scegliere che tipo di vita condurre.

Se vista sotto questo punto di vista, la situazione è ben diversa. Offrire a questi minori l'opportunità di sperimentarsi non per il loro cognome, ma per le loro competenze e capacità è un qualcosa che difficilmente gli capita stando in famiglia, nei rispettivi quartieri. Guardare alla bellezza di un giovane che non ha più bisogno di presentarsi come "Condello", "De Stefano", "Labate" , " Pesce" , "Bellocco" anteponendo il suo cognome al nome, bensì, viceversa, che si presenti come "Marco" , "Luca", "Pasquale", " Peppe". Questa è la bellezza di questi percorsi: offrire a questi minori l'opportunità di essere se stessi, indipendentemente da ciò che "a famigghia" vorrebbe.

No. Non è una scorciatoia. Cantone ha detto una cavolata. Non si interviene sull'anello più debole. Anzi. Si interviene sull'anello più forte, quello che tra 5-10-15-20 anni ma anche molto meno, sarà il boss di turno. Solo intervenendo così presto si potrà sperare non di sconfiggere la ndrangheta, per carità, nessuno ha questa presunzione, ma quantomeno di indebolirla. Il lavoro su questi minori si potrà considerare ben riuscito se si riuscirà ad instillare in loro il dubbio che vivere onestamente, sotto sotto, non è così male.

Io sono fermamente convinto che a Reggio Calabria, col dottor Di Bella, si sia intrapresa la strada giusta. Qui lo Stato HA VINTO. Siamo stati fautori di una prassi educativa unica in tutto il mondo, a cui tutti guardano con attenzione e rispetto.

La ringrazio, infine, per gli spunti di riflessione che quotidianamente Zoomsud offre ai suoi lettori alimentando confronti e scambi di opinione.