ce la stanno mettendo tutta per condizionare lo scenario
amministrativo regionale anche dopo di loro. Entrambi ci stanno
facendo assistere alla più ridicola, farsesca e interminabile uscita
di scena nella storia delle regioni italiane. Si tratta di “narcisisti a
pelle spessa”, secondo la felice definizione di Vittorio Lingiardi,
cioè di “narcisisti arroganti”, per i quali prevale un sentimento di
superiorità sempre esibito, un’esaltazione permanente delle loro
qualità amministrative (che li porta a definire successi straordinari
i loro disastri), una scarsa empatia per gli altri che non siano i
famigli e la stretta cerchia di collaboratori, un senso di
onnipotenza permanente, una pretesa di privilegi per sé e per i
propri familiari come atti dovuti al loro “immenso” talento, le
offese per chi li contrasta, una confusione del potere con l’abuso,
la politica come prosecuzione del teatro, il comando come
umiliazione degli altri. Insomma, i gemelli del regionalismo
“insensato” (definizione di Cacciari) vogliono impedire che ci sia
un “dopo di loro” senza di loro. Certo, le loro caratteristiche sono
un’esasperazione di un comportamento assai diffuso tra i
presidenti di regione, ma per ora vale la pena concentrarsi sul fatto
che nelle due regioni meridionali la resistenza a lasciare il potere
ha assunto un aspetto da avanspettacolo.
E se il pugliese si accontenterebbe di fare l’assessore con un altro
presidente (o indicarne uno di sua fiducia), il salernitano vorrebbe
addirittura decidere il candidato dei Cinquestelle, a cui per accordi
nazionali spetterà di guidare il centrosinistra in Campania, dopo
che per anni li ha disprezzati e vituperati. Sarebbe un ben triste
spettacolo se il partito di Conte accettasse tale imposizione da un
suo aperto nemico. Se De Luca non vuole Roberto Fico, ciò è la
dimostrazione stessa del valore del candidato come rottura del
sistema precedente.
La Schlein finora ha retto sul fronte della lotta annunciata ai
cacicchi, anche se ci si poteva aspettare tempi più brevi.
Evidentemente la loro difesa all’interno del Pd è più forte di
quanto si possa immaginare. D’altra parte, in un partito diviso in
correnti, non motivate da ideali e visioni nettamente contrapposte,
ogni nemico della segretaria diventa proprio amico. È questa la
parte più inaccettabile del correntismo, cioè la difesa degli
indifendibili, l’impunità per i peggiori.
Nel corso degli anni De Luca ha riservato al gruppo dirigente del
Pd le peggiori offese mai ascoltate all’interno dello stesso partito
politico. In Italia solo il sindaco di Terni ha raggiunto livelli di
violenza verbale e di volgarità pari alla sua. E negli ultimi tempi si
sono accentuate ancora di più le contumelie fino al vilipendio. Ne
ricordo alcune per chi le avesse dimenticate: menomati, ignoranti,
asini, nullafacenti, analfabeti, culminate nell’affermazione che “il
Pd è il partito che contiene la più alta concentrazione di imbecilli”.
In privato le offese sono più volgari e sessiste. La Meloni ha
reagito a un epiteto che De Luca usa abitualmente, perché mai il
gruppo dirigente del Pd non fa lo stesso? Si dice che la
spiegazione sta nel tentativo di tenere De Luca, fino alla fine,
dentro il campo largo per impedirgli di presentarsi alle elezioni
con un suo candidato.
Sull’utilità di questa tattica si possono avanzare due obiezioni. La
prima: si può fare un compromesso con chi chiede di scegliere il
candidato dei Cinquestelle, di presentare liste di sua ispirazione, di
opzionare un futuro assessore di sua fiducia? Insomma, con chi
vuole continuare a comandare sulla regione e a condizionare il
futuro presidente? Come si può accettare una di queste condizioni
e al tempo stesso assicurare un cambio necessario nelle scelte
della regione, che resta in tanti campi l’ultima per servizi forniti ai
suoi cittadini? Le pretese di De Luca sono provocazioni perché
presuppongono una continuità con il suo operato che sarebbe un
suicidio politico ed elettorale garantire per chiunque dovesse
essere il presidente indicato. La caduta verticale del suo consenso
nell’ultimo anno lo sta a dimostrare.
La seconda osservazione. Il gruppo dirigente del Pd può incontrare
e parlare con De Luca quando vuole e se lo ritiene necessario, a
condizione però che prima il presidente della Campania chieda
scusa per le offese. Se non si reagisce contro chi ti apostrofa come
imbecille, si mette in discussione l’onorabilità e la dignità di tutti
gli iscritti del Pd che quel gruppo dirigente hanno scelto.
C’è, infine, anche un problema più generale di dignità e di
onorabilità per la politica italiana. Come si può ancora sopportare
un bulletto istituzionale come De Luca? Certo, il problema è del
Pd e spetta al Pd risolverlo. Ma se lo fa, è il decoro e la dignità
dell’intera politica italiana che ne guadagnano.