A me la Gloria e Il Giudice Meschino di Mimmo Gangemi 

A me la Gloria e Il Giudice Meschino di Mimmo Gangemi 
“A me la gloria” è il nuovo romanzo di Mimmo Gangemi, uscito da poco. Ne hanno parlato in modo completo ed approfondito su Zoomsud, Maria Franco e Filippo Veltri. Avremo modo di riparlare di questo romanzo che si avvia a diventare un best seller. “Il Giudice Meschino” è, invece, un romanzo del 2009, edito da Einaudi. Il protagonista è il giudice Alberto Lenzi, un magistrato indolente costretto a diventare eroe suo malgrado. Il romanzo tocca uno dei punti più bui della Calabria, l’essere diventata il deposito dei veleni più nocivi del Paese, e forse d’Europa con il contributo determinante della ‘ndrangheta, di quella vecchia e di quella nuova. Nel romanzo il Procuratore non aveva una grande idea del giudice Lenzi, a malavoglia aveva inserito Lenzi nel pool che si occupava dell’uccisione del Giudice Maremmi. Il Procuratore si sorprende quando Lenzi illustra le importanti risultanze delle sue indagini. “Appena spuntarono le scorie radioattive e, sullo sfondo la morte di Giorgio Maremmi, sentì risalire la zuppa di latte consumata quella mattina. E lo ebbe in odio come mai lo aveva avuto. Un tale scioperato, uno dedito solo alle femmine e a ogni sorta di vizio, non poteva uscirsene così, senza avvisaglia alcuna”.

Gia nome e cognome che Mimmo Gangemi dà al protagonista sono uno spoiler del profilo del giudice.
Andrea Camilleri con Montalbano ha richiamato direttamente Manuel Vázquez Montalbán (1939 2003) scrittore, saggista e giornalista spagnolo. Montalban ha pubblicato nel 1972 il primo romanzo “Ho ammazzato J. F. Kennedy”, in cui compare il detective privato Pepe Carvalho, che sarà protagonista di una saga tradotta in molte lingue. Pepe Carvalho è definibile come il classico antieroe.

Ci piace immaginare che con Lenzi, Mimmo Gangemi abbia richiamato “Umberto” Lenzi (1931 – 2017) che è stato un regista, sceneggiatore e scrittore italiano, tra i maggiori esponenti del poliziottesco. È stato il regista di alcuni tra i film più importanti del genere, come “Milano odia: la polizia non può sparare”, “Roma a mano armata” e “Napoli violenta”. Anche qui uomini della legge definibili antieroi. Alcuni di questi film vennero giudicati non buoni da molta critica saccente, oggi “Roma a mano armata” è stato
ampiamente rivalutato, ed è considerato una pietra miliare del poliziottesco, così come “Milano” e “Napoli”. I tre film disegnano l’Italia delle grandi città negli anni 70 del secolo scorso, in modo più approfondito di molti saggi.

“Il Giudice Meschino” è tutto da leggere, o da rileggere, d’un fiato. Ci permette di andare per la Calabria, con panorami, ambienti, passeggiate che disegnano il territorio con le sue luci e le sue ombre. Le situazioni sono quelle che i cittadini del Sud conoscono e che si tramandano, come la sacralità della produzione dell’olio. “Quanto gustava le notti dentro il frantoio a molire: una goduria lo sciacquettio della pasta sotto le due grosse ruote in pietra della macina, il suono cupo del motore, le sportine da riempire della pasta e inserire tra i dischi nel perno delle presse, l’olio che colava, l’odore di cui s’impregnava il locale. Un frantoio all’antica, il suo, con la vasca e le ruote. Avesse potuto, le avrebbe fatte ancora
girare con l’asta e il mulo attaccato. Gli altri s’erano invece modernizzati. Che gran fesseria svenarsi per comprare marchingegni che la pasta la lavoravano a caldo, con il risultato di rovinare l’olio, acido prima dell’anno. Fesseria peggiore, poi, sostituirli con quelli che premevano a freddo. "Passa in mezzo a diavolerie meccaniche, può mai uscire un olio battezzato?" soleva contrastarli. Non li convinceva. Però neppure loro convincevano lui.”

Il Giudice Meschino ci consegna una ndrangheta ancora peggiore, se fosse possibile, di quella che viene fuori nei processi penali. Una ndrangheta che oltre alle responsabilità del singolo compie un misfatto sociale: avvelena la propria terra, la terra dei propri figli, svende la salute di intere popolazioni. I codici non possono prevedere i reati “sociali”, ma la storia di questa splendida terra che è la Calabria, condanna con i peggiori marchi di infamità questa associazione a delinquere.

Mimmo Gangemi, con le pagine del Giudice Meschino, imprime questa marchiatura profonda ed indelebile, che nessuna rilettura potrà mai togliere. Il Giudice Meschino è ambientato tra la Piana e Reggio, tra la Costa Viola e l’Aspromonte, disegna la possibilità di impegnarsi e di vincere le sfide più difficili per consegnare alle nuove generazioni una terra sostenibile: economicamente, socialmente,
ambientalmente.

*Università di Reggio Calabria - Agosto 2025